Contro Cina, Turchia e Russia l'Ue usa la sua mano di piuma
Tra engagement e appeasement, l'Unione europea cerca di scindere le questioni geopolitiche da quelle economiche nei rapporti con l'Oriente
Dalla Cina alla Turchia passando per la Russia, l’Unione europea si trova di fronte alla sfida rude della geopolitica e, malgrado tutta la sua reticenza, sarà presto costretta a rispondere alla domanda che aveva posto il presidente americano, Joe Biden, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco in febbraio: gli europei sono pronti a prendere parte alla battaglia esistenziale tra democrazia e autoritarismo? I ministri degli Esteri dei 27 ieri hanno formalmente adottato le prime sanzioni contro la Cina dal massacro di piazza Tiananmen nel 1989 per punire simbolicamente le persecuzioni contro gli uiguri nello Xinjiang. Nella lista nera dell’Ue sono finiti quattro funzionari del partito comunista e l’ufficio per la pubblica sicurezza dello Xinjiang Production and Construction Corps, l’organizzazione economica e paramilitare che esercita l’autorità amministrativa e controlla le attività economiche nella regione. Sorveglianza, detenzioni di massa, indottrinamento, lavoro forzato: le sanzioni europee sono una risposta minima rispetto alla campagna condotta dalla Cina per cancellare l’identità, la cultura e la religione degli uiguri e che gli Stati Uniti hanno qualificato come genocidio. La risposta cinese è stata tanto dura quanto inattesa per l’Ue: il ministero degli Esteri di Pechino ha annunciato sanzioni contro cinque deputati europei, tre parlamentari nazionali, il Comitato politico e di sicurezza dell’Ue, la sottocommissione diritti umani del Parlamento europeo, i ricercatori Adrian Zenz e Björn Jerdén, il think tank Mercs e la Alliance of Democracies Foundation. L’Ue si aspettava una rappresaglia cinese, ma limitata e moderata, nella convinzione che Pechino non volesse spingere gli europei nelle braccia degli americani. Invece, la Cina vuole imporre una sessione di autocritica: “La parte cinese esorta la parte dell’Ue a riflettere su sé stessa, a comprendere direttamente la gravità del suo errore e a rimediare”.
Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, oggi atterra a Bruxelles per partecipare alla ministeriale della Nato. Domani vedrà la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e l’Alto rappresentante, Josep Borrell. In cima all’agenda di Blinken ci sono le “preoccupazioni su Cina e Russia”, ha fatto sapere il dipartimento di stato. In entrambi i casi, l’Ue è convinta di poter fare a modo suo: separare i propri interessi economici dai conflitti geopolitici e sui valori. Con la Cina ha concluso un accordo sugli investimenti a fine 2020, nonostante le perplessità dell’entrante amministrazione Biden, le rivelazioni sul lavoro forzato nello Xinjiang e la cancellazione del principio “un paese, due sistemi” a Hong Kong. Con la Russia le relazioni dell’Ue sono al livello più basso di sempre, gli appelli alla liberazione di Navalny sono caduti nel vuoto, Borrell è stato umiliato a Mosca, eppure il completamento del gasdotto Nord Stream 2 va avanti. I capi di stato e di governo dei 27 avranno una discussione strategica sulla Russia nel loro vertice in teleconferenza di giovedì. Ma nessuno si aspetta lo stop a Nord Stream 2. L’Ue confermerà “i cinque princìpi guida” per le relazioni con la Russia che erano stati adottati nel 2016: come se in cinque anni i rapporti non si fossero deteriorati tra cyberattacchi, interferenze, disinformazione, Siria e Libia. “Sono sufficientemente generali e atemporali da restare validi”, si è giustificato Borrell. Pechino e Mosca possono contare su piccoli alleati, come l’Ungheria, che complicano le decisioni dell’Ue in politica estera. Ma a frenare su una politica più assertiva con Cina e Russia è soprattutto la Germania. “Per i tedeschi, interessi economici e geopolitica vivono in mondi separati. Ma quello della Germania non è più solo engagement. E’ appeasement”, spiega al Foglio un diplomatico.
La Germania è anche il grande protettore di Recep Tayyip Erdogan. Di fronte alla minaccia di sanzioni, il presidente turco ha allentato la tensione nel Mediterraneo orientale evitando nuove provocazioni. Tanto è bastato ai ministri degli Esteri ieri per dire che la de-escalation è in corso e che ci sono sviluppi positivi, anche a costo di chiudere gli occhi sulle mosse interne di Erdogan: la minaccia di vietare il Partito democratico dei popoli (Hdp), il licenziamento del governatore della banca centrale e l’uscita dalla convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne. “Sono questioni che vanno tenute in conto”, ma “ci sono stati miglioramenti” nelle relazioni, ha detto Borrell. Così, nel vertice di giovedì e venerdì i leader dell’Ue dovrebbero tornare a offrire a Erdogan una “agenda positiva”: un pacchetto di aiuti finanziari per i rifugiati siriani e un ammodernamento dell’unione doganale tra Ue e Turchia. In un anno elettorale per la Germania, l’obiettivo è evitare di trovarsi con il pericolo di una nuova crisi di migranti. Nella rude geopolitica, i regimi hanno gioco facile a sfruttare la principale debolezza dell’Ue: l’avversione al rischio nella politica estera.
l'editoriale dell'elefantino
C'è speranza in America se anche i conservatori vanno contro Trump
tra debito e crescita