Sputnik e dimissioni

In Slovacchia il vaccino russo ha provocato uno sconquasso politico

Matovic è il leader di un governo nato in pandemia che ha al suo interno molte sfaccettature politiche

Micol Flammini

Il premier slovacco ha voluto importare Sputnik V e ora il governo chiede la sue dimissioni perché non avrebbe dovuto discostarsi dall'approccio europeo. Pregiudizi e realtà di una crisi gestita male

Roma. La Slovacchia, dopo l’Ungheria, è stata la seconda nazione europea ad approvare il vaccino russo Sputnik V. Il primo lotto è arrivato a Bratislava a inizio marzo, creando dissidi dentro al governo del primo ministro Igor Matovic. L’accusa che viene mossa al premier è quella di aver agito in modo unilaterale, senza coinvolgere tutte le parti della maggioranza e soprattutto senza aspettare il parere dell’Unione europea. Matovic è il leader di Olano, un partito populista che guida una coalizione che ha al suo interno l’estrema destra, i liberali di destra e un partito di centro, anime politiche  che fanno fatica ad andare d’accordo. Questo governo che si regge a stento  dai suoi inizi, è nato proprio durante la pandemia, fu il primo giuramento europeo in mascherina: il primo segno di una nuova vita politica. Il governo slovacco non ha conosciuto altre realtà se non quella dell’emergenza sanitaria che, a detta di molti e a guardare i dati, ha gestito molto male. La Slovacchia, in rapporto agli abitanti, è il paese che ha il numero di morti più alto in Europa e i dissidi all’interno della maggioranza non hanno aiutato a gestire meglio la situazione. Matovic aveva anche individuato una strada importante: era stato il primo a organizzare una campagna di test antigenici che coinvolgesse tutta la popolazione. Molti leader europei lo avevano contattato per farsi spiegare la sua idea e  l’organizzazione di una campagna di tracciamento  capillare, ma mentre gli slovacchi si facevano il tampone,  il premier si era dimenticato di tutte le altre misure di protezione: mascherine, distanziamento, chiusure. 

 

Matovic pensava che l’arrivo delle dosi di Sputnik V sarebbe servito  a placare il suo governo, che invece ha contestato la scelta perché non è stata presa assieme a tutta la maggioranza e perché si è discostata dall’approccio europea che Bratislava aveva deciso di seguire. Il premier ha offerto le sue dimissioni, ma a delle condizioni molto stringenti: vuole che un posto per lui all’interno del governo venga mantenuto e che assieme a lui venga costretto a dimettersi anche il ministro dell’Economia e vicepremier Richard Sulík, che il premier ha definito in pubblico “un idiota”. 

 

Quella slovacca non è certo una maggioranza coesa, ma la decisione di importare lo Sputnik ha aiutato a far precipitare le cose, sottolineando quanto il vaccino russo abbia un valore geopolitico forte che  ha  complicato le cose anche per i ricercatori di Mosca, che faticano a rivendicare  l’efficacia del vaccino. L’Ema ha iniziato la rolling review del vaccino russo, e anche altri governi, incluso quello tedesco di Angela Merkel, hanno detto che non procederanno all’ordine fino a quando non ci sarà un parere positivo da parte dell’Agenzia per i medicinali. Anche il commissario Thierry Breton, a capo della task force dell’Ue per la produzione dei vaccini, ha detto che l’Unione non ha bisogno dello Sputnik, che i contratti già stipulati con le case farmaceutiche e i quattro vaccini già approvati sono sufficienti e inoltre, ha aggiunto Breton, “i russi fanno fatica a fabbricare” lo Sputnik e nel caso in cui avranno bisogno dell’aiuto dell’Ue, verrà presa una decisione nel secondo semestre. L’account Twitter dello Sputnik ha reagito molto male alle parole del commissario francese e ha parlato di pregiudizi: “I suoi commenti spingono Sputnik   a non passare per l’approvazione dell’Ema”. 

 

In parte, il pregiudizio che denunciano i russi è reale, ma a dare un forte valore propagandistico al vaccino è stata proprio Mosca. Per questo adottarlo ha delle conseguenze politiche, come sta accadendo in Slovacchia, dove i partiti che sostengono Olano, il partito del premier, hanno dato a Matovic tempo fino a mercoledì: o si dimette, o saranno loro a lasciare la maggioranza.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)