le elezioni in israele

Israele in overdose elettorale produce non uno, ma due kingmaker

Alcuni consiglieri elettorali dei vari partiti israeliani hanno confessato al Jerusalem Post che, “con tutto il rispetto per il voto di martedì”, loro si stanno già concentrando sulla prossima elezione. La quinta.

Micol Flammini

Dopo il voto  e senza la possibilità di avere una coalizione definita, sono tutti a corteggiare Naftali Bennett e Massour Abbas per avere la maggioranza in Israele

Alcuni consiglieri elettorali dei vari partiti israeliani hanno confessato al Jerusalem Post che, “con tutto il rispetto per il voto di martedì”, loro si stanno già concentrando sulla prossima elezione. La quinta. Sono chiacchiere, considerazioni, ma ancora una volta la situazione politica in Israele sembra immobile. Con il Likud di Benjamin Netanyahu che continua a essere il primo partito con  30 seggi su 120. Seguito da Yesh Atid di Yair Lapid, che vorrebbe guidare una  coalizione contro Bibi  che terrebbe dentro un po’ di tutto: centro sinistra,   sinistra, la destra di Gideon Sa’ar, uscito dal Likud per togliere consensi al premier  e finito con soli sei seggi, e di Avigdor Lieberman (anche lui un ex del Likud poi fondatore di Israel Beitenu) e la Lista comune formata dai partiti arabi. In questa coalizione già si litiga, il leader di Israel Beitenu dice che il premier dovrebbe essere lui perché saprebbe quali misure prendere contro Bibi, Lapid è convinto che dovrebbe essere lui il capo del gruppo: è lui che ha preso più seggi. 

Tra i pro Bibi è chiaro chi sarà il premier, lo stesso da dieci anni: Benjamin Netanyahu. Ma ogni elezione in Israele ha il suo ago della bilancia, il suo kingmaker, il candidato che trama, che costruisce, che aspetta l’offerta migliore. In questa elezione ce ne sono addirittura due. Uno è Naftali Bennett, leader del partito di destra Yamina, che con i suoi 7 seggi si regge in bilico tra i due schieramenti. L’altro era inatteso: Mansour Abbas, leader del partito Ra’am, braccio dei Fratelli musulmani e che  i sondaggi davano sotto la soglia di sbarramento. 

 

  

Bennett è uno degli ex di Bibi, è stato suo capo di gabinetto, ha lasciato l’incarico dopo aver litigato con la moglie del premier, Sara, e ha cercato una nuova casa politica. Prima nel partito Bayit Yehudi, poi ha fondato, nel 2019, il suo Yamina. Ma dopo essere uscito dal Likud è stato ministro della Difesa, dell’Istruzione, dell’Economia, degli Affari della diaspora e dei Servizi religiosi negli esecutivi di Netanyahu, per finire nell’ultimo governo, inaspettatamente, all’opposizione. La sorpresa fu grande per lui: fu Bibi a dimostrare di poter fare a meno del suo ex capo di gabinetto formando un governo di unità nazionale con Kahol Lavan di Benny Gantz. 

Il leader di Yamina potrà decidere se spingere le sorti del paese verso un governo “fortemente di destra”, come ha detto il premier, o verso un “governo sano”, quello che immagina Lapid. Di critiche Bennett ne ha riservate sia all’uno sia all’altro, ma a Netanyahu è più vicino, si conoscono, sono legati da un’ideologia vicina, e sono abituati a lavorare insieme: i due sono molto bravi a cambiare campo, a corteggiare elettorati diversi.  “Il paese è diviso in due culti”, ha detto Bennett, “ho deciso di non appartenere a nessuno dei due. Dobbiamo sostituire Netanyahu non perché lo vuole la setta degli anti Bibi, ma perché ha fallito profondamente. E’ tempo di dirgli: ciao, grazie, ma ora è il momento di Bennett”. 

 

 

Il numero degli ex che ha cercato di superare il primo ministro, di prenderne il posto, di accerchiarlo, di sollevarlo cresce a ogni ciclo elettorale. Anche Lapid è un ex. E tutti hanno sperato di diventare premier: “So di aver bisogno di ancora qualche mandato e ci sarò”, ha detto Bennett commentato gli ultimi sondaggi: “Posso farcela”. Continua a non dire con chi andrà, a ripetere che farà ciò che è meglio per Israele. Bennett sapeva di essere destinato al ruolo di ago della bilancia, ma non pensava di potersi ritrovare con un rivale anche nel ruolo del kingmaker. Mentre tutti continuano ad assegnare i suoi seggi al blocco pro Bibi, si concentrano su Abbas, il nuovo arrivato alla Knesset.

 

I 5 seggi di Ra’am sono più avvicinabili da Lapid che così arriverebbe a 61, la quantità necessaria per avere la maggioranza, i due domani si vedranno per trattare. Anche il Likud, nonostante la sua coalizione tenga dentro partiti religiosi (Shas, United Torah Judaism e Religious Zionism), è disposto a parlare con Mansour Abbas, che però ieri sera ha detto che non si sentirebbe a suo agio dentro a una coalizione con partiti “razzisti”, facendo riferimento agli alleati di Bibi. 

 

 

Anche il gruppo di Lapid si regge a fatica, il suo programma elettorale è fondato  su un solo punto: togliere la premiership a Netanyahu e promuovere riforme per allontanarlo dalla politica. Poi ci sono dissidi, tanti.  I partiti di sinistra Labour e Meretz hanno aumentato i loro consensi e si preparano a contendersi la guida del futuro fronte, sempre anti Bibi, ma probabilmente senza Lapid. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)