Sputnik lo straniero

Il Cremlino deve importare dosi di Sputnik da usare in Russia

Micol Flammini

Mosca pubblicizza l’export del suo vaccino, ma s’ingegna sull’import. I contratti con Cina, Corea del sud e India

La scorsa settimana il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, è partito per due viaggi. Uno in Corea del sud – era da otto anni che non si recava in visita a Seul. L’altro a Pechino, durante il quale si è lasciato fotografare con la mascherina con su scritto FCKNG QRNTN. A rendere più forte  l’attenzione  di Mosca nei confronti dell’Asia,  negli ultimi tempi, potrebbe essere la dipendenza della Russia nei confronti di cinesi e coreani per l’importazione delle dosi di Sputnik V. Per quanto il Cremlino abbia cercato di fare del vaccino russo uno strumento di soft power, continua ad avere grandi  difficoltà di produzione. 

 

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Журналисты пула подарили С.В.Лаврову маску. И маска, и надпись пришлись Министру впору

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E’ questo uno dei motivi per i quali anche la Commissione europea è restia a stringere un contratto con Mosca: qualora l’Ema approvasse il farmaco russo, comprare vaccini dalla Russia sarebbe fuori discussione soprattutto per problemi logistici. La difficoltà di produzione mette la Russia in una condizione di grande necessità: se da un lato per alimentare il valore politico del vaccino lo esporta, dall’altro è costretta a importarlo per avere dosi a sufficienza da usare soprattutto sul territorio nazionale. Tra i paesi con cui ha stretto degli accordi per le importazioni ci sono: Cina, Corea del sud e India. Ieri, l’agenzia di stampa Tass scriveva che il Fondo russo per gli investimenti ha avviato una collaborazione  con l’azienda cinese Shenzhen Yuanxing Gene-tech per la produzione di oltre 60 milioni di dosi di Sputnik V. La produzione dovrebbe iniziare a maggio di quest’anno.

 

Con la Corea del sud gli accordi erano già  avviati, e la Russia ha  ricevuto due aerei cargo della Asiana Airlines con le dosi prodotte dalla Gl Rapha, azienda sudcoreana,  e un altro carico dovrebbe arrivare nei prossimi giorni: per un totale di circa 150 milioni di dosi per il 2021. Scrive il New York Times che  le spedizioni dovrebbero aumentare per dare alla Russia la possibilità di vaccinare di più a livello nazionale. Secondo il quotidiano americano, che ha parlato con dei diplomatici indiani, presto anche l’India dovrebbe iniziare a esportare dosi di Sputnik V verso Mosca. La Russia ha quattro accordi di produzione in India, uno con la Virchow Biotech per 200 milioni di dosi all’anno. 

 

Mosca non ha mai nascosto le  scarse capacità dei suoi impianti e incentiva i paesi a procedere da soli alla produzione – la Serbia, che è stata tra i primi paesi a ricevere le dosi russe, ha già annunciato che entro maggio comincerà la produzione di Sputnik V – ma ha preferito sottolineare il valore delle esportazione, la forza di un vaccino per l’umanità messo a disposizione di tutti, più che la necessità di importazioni. Anche agli europei i russi hanno fatto capire che Mosca ha difficoltà nel produrre dosi e per questo il commissario al Mercato interno Thierry Breton, due settimane fa, ha detto che se bisognerà aiutare i russi, l’Ue ci penserà, ma non adesso, semmai nel secondo semestre. 

 

Sul sito di Sputnik V, si legge che il vaccino è stato registrato in più di 57 paesi, per un totale di oltre 1,5 miliardi di persone. Più di venti paesi hanno già iniziato le vaccinazioni, Ungheria, Algeria e molti stati sudamericani hanno importato le dosi da Mosca. Secondo il Moscow Times, Budapest avrebbe ritirato solo un terzo delle dosi ordinate. La Russia non era preparata, ha pochi impianti e ha dovuto attendere la fine dell’autunno per ricevere gli attrezzi necessari che arrivavano soprattutto dalla Cina. 

 

Il Cremlino ha deciso di concentrarsi molto sulla diplomazia vaccinale, ma questo ha avuto come effetto anche il poco successo dell’immunizzazione in Russia. Mosca è indietro rispetto agli americani, ma anche rispetto agli europei e finora ha somministrato la prima dose di Sputnik al 4,4 per cento della popolazione. Sulla campagna di vaccinazione a rilento pesano due fattori. Il primo è la scarsa fiducia dei russi nei confronti del vaccino, che deriva dai tempi rapidi della sua scoperta e da una sfiducia atavica nei confronti degli annunci delle istituzioni. Il secondo è proprio la mancanza di dosi, che scarseggiano soprattutto nelle aree più periferiche. Il Cremlino non nega e, anzi, ha detto che la decisione di Putin di farsi vaccinare così tardi è stata determinata anche dalla volontà di non stimolare troppo la domanda di dosi, in un momento in cui era l’offerta il problema. Che sia una nuova scusa o un calcolo del presidente e dei suoi consiglieri non si sa, ma da questo gioco di esportazioni e importazioni, la Russia esce fuori come una potenza ridimensionata e che rischia anche di finire vittima dei nuovi blocchi alle esportazioni, dei nuovi first che, durante la terza ondata, sembrano venire da molti dei paesi produttori di vaccini, inclusa l’India

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)