Lavoro e capi
Perché Bezos è tanto furioso
Si stanno contando i voti nello stabilimento a Bessemer, in Alabama, in cui potrebbe essere creato il primo sindacato in Amazon in America. C'è stata una battaglia furiosa su Twitter in cui si parla sempre di pipì
Dentro ad Amazon c’è “un piccolo esercito” di twittatori che si chiama “Veritas” e che difende sui social Bezos e l’azienda. Ma l'offensiva non è andata affatto bene
Si stanno contando i voti nello stabilimento di Amazon a Bessemer, in Alabama: le buste dei 5.805 dipendenti di questo centro logistico aperto soltanto un anno fa sono state consegnate. Dentro c’è l’esito di un referendum che ha risonanza mondiale perché chiede di istituire il primo sindacato dei lavoratori di Amazon, cioè dell’azienda che, con 800 mila dipendenti, è il secondo datore di lavoro del paese, e di una delle aziende più globalizzate del mondo.
Il conteggio è laborioso, con due dirette video, una in cui sia Amazon sia i rappresentanti del National Labor Relations Board, un’agenzia federale indipendente che monitora il mercato del lavoro, possono intervenire sull’ammissibilità di ciascun voto (nominale); l’altro in cui si dividono i voti tra favorevoli e contrari. Non si sa quando arriverà il risultato, ma in ogni caso tutti convengono sul fatto che sia un evento epocale: se i sindacati vengono sconfitti, lo scossone è enorme, se viene sconfitto Jeff Bezos, ancora di più. Il nervosismo dell’ideatore e fondatore di Amazon è sulla bocca di tutti ed è talmente intenibile che si è sfogato in modo vistoso anche sui social, in particolare su Twitter. Ultima dimostrazione di quanto sia sentito questo conteggio.
Secondo un’esclusiva di Intercept, dentro ad Amazon c’è “un piccolo esercito” di twittatori che si chiama “Veritas” e che difende sui social Bezos e l’azienda. Il gruppo di “ambasciatori” è nato nel 2018, ma in questa occasione è stato particolarmente battagliero.
Gli ambasciatori, dice un documento interno di Amazon, sono stati scelti per “il loro senso dell’umorismo” e per la loro capacità di rivolgersi ai critici in modo “schietto” – c’è chi li ha presi per bot. Nelle ultime settimane pare che Bezos fosse molto insoddisfatto dei suoi ambasciatori: i dipendenti dello stabilimento di Bessemer avevano avuto la meglio nel rappresentare le vessazioni di Amazon, in particolare quella che circola di più, cioè che i turni e la richiesta di produttività sono talmente punitivi che gli autisti non hanno nemmeno il tempo di andare in bagno e fanno la pipì nelle bottigliette. “Non crederete a questa storia della pipì?”, hanno ripetuto gli ambasciatori, senza grande successo. Così come poca risonanza ha avuto l’offerta salariale di Amazon, in uno stato come l’Alabama che non ha alcuna legge sul salario minimo: 15,30 dollari l’ora (a livello federale il salario minimo è di 7,25 dollari l’ora), con contributi per la sanità e per la pensione.
Buona parte del successo mediatico dei dipendenti di Bessemer è anche dovuto ai loro sponsor politici, in particolare Elizabeth Warren e Bernie Sanders, quest’ultimo considerato un nemico di Amazon al punto che nel documento di formazione degli “ambasciatori” molti esempi citano proprio il senatore del Vermont. E infatti Bezos, insoddisfatto, ha chiesto di essere spietati con questi politici, così l’account Amazon News si è gettato in una querelle via l’altra contro tutti quelli che sostenevano che Amazon deve cambiare la sua politica nei confronti dei lavoratori e del lavoro (la questione della pipì tenuta è sempre presente: pare che i dipendenti cerchino di non bere per non dover andare in bagno). Anche in questo caso, l’offensiva mediatica di Bezos, incentrata sullo slogan “siamo una azienda progressista” o ancora meglio “siamo i Bernie Sanders delle aziende americane”, non è andata benissimo. Soprattutto quando è intervenuta Alexandria Ocasio-Cortez, imbattibile sui social e su queste battaglie, che con un lapidario “this you?” ha pubblicato un’email di un manager di Amazon che pregava i dipendenti di ripulire bene i furgoncini delle consegne: troviamo di tutto, mascherine, guanti, bottigliette piene di pipì.
L'editoriale dell'elefantino