Israele divisa in tre schermi

Rivlin dice che sarà difficile nominare un premier, Bibi siede a disagio in tribunale, ma l'evento più importante riguarda il grande show in cui non succederà nulla, ma da cui inizieranno a muoversi molte cose

Micol Flammini

Le consultazioni per formare un governo, il processo a Netanyahu e l'attesa per l'incontro a Vienna, dove oggi riprenderanno i negoziati indiretti tra americani e iraniani sul nucleare. Su cosa si concentrano gli israeliani

Le consultazioni sono iniziate ieri in Israele e nelle stesse ore il premier Benjamin Netanyahu era in tribunale, a Gerusalemme, per il l processo contro di lui. Ed era anche giornata di attesa, prima dell’incontro a Vienna, dove oggi riprenderanno i negoziati indiretti tra americani e iraniani sul nucleare, un evento che indica che la politica estera americana è  cambiata e agli israeliani conviene seguirla con molta attenzione. I commentatori israeliani ieri suggerivano di dividere i propri schermi in tre, perché tutti e tre gli eventi sono cruciali per il futuro del paese. Il primo, l’incontro di Rivlin con i partiti, perché è l’ultimo tentativo per evitare una quinta elezione. Il secondo, Bibi in tribunale, perché serve a far chiarezza sulle pressioni del premier nei confronti della stampa, e il terzo, forse il più importante, perché potrebbe condizionare il futuro del medio oriente.

 

Il primo schermo, quello concentrato sul presidente e i suoi incontri, era forse il meno interessante. Rivlin, già dopo aver incontrato i rappresentanti del Likud e di Yesh Atid, primo e secondo partito alle elezioni del 23 marzo, ha detto che dare l’incarico a qualcuno per formare un governo sarà molto complicato. Il presidente è stremato,  e per la prima volta ha lasciato intendere che potrebbe negare il mandato a Netanyahu per i suoi processi. La coalizione anti Bibi, che litiga su tutto, ieri ha avuto un momento di speranza quando Yair Lapid, leader del partito di centro sinistra Yesh Atid, ha offerto a Naftali Bennett, della destra di Yamina,  di formare un governo di unità nazionale con premiership a rotazione. Una mossa inaspettata, che però potrebbe scontentare tanti altri che già appartengono al fronte contro il premier. Il 9 luglio scade il mandato di Rivlin e un politico del Likud ha detto al Jerusalem Post che c’è un piano per candidare il loro leader alla presidenza, così anche la politica sarà più stabile e senza Netanyahu altri partiti di centro e di destra  vorranno unirsi al Likud, che prima dovrebbe tenere delle primarie. Sono indiscrezioni, ma il politico ha raccontato che anche la Knesset è sfinita, come Rivlin e come gli israeliani, e i due terzi dei deputati sono pronti ad accettare. Se il presidente riuscirà a dare un incarico a qualcuno si saprà mercoledì, altrimenti toccherà al Parlamento trovare una soluzione. Mentre si continua a trattare e vengono fuori alleanze improbabili, sul secondo schermo si vedeva un Netanyahu  a disagio mentre ascoltava le dichiarazioni di chi lo accusa di aver usato la sua carica per ottenere una copertura favorevole sui media, in questo processo   il premier è accusato di corruzione e abuso d’ufficio nel suo rapporto con  giornalisti, testate ed editori.  

 

Il terzo schermo è quello dell’attesa per l’incontro a Vienna, che non avrà effetti immediati, ma sarà importante per la regione, forse per la prossima campagna elettorale in Israele e per le relazioni future tra il paese e gli Stati Uniti. La domanda che tutti si fanno è: chi cederà per primo? L’Iran tornerà alla piena conformità prevista dal patto o l’America toglierà le sanzioni? La sequenzialità con cui avverranno le due cose vorrà dire molto, soprattutto per Israele ,  che non può impedire che i negoziati ricomincino, ma può e vuole fare in modo che il patto venga cambiato, esteso, e comprenda tanti altri dossier oltre al nucleare.  

 

Alon Pinkas, commentatore di Haaretz, suggerisce di dimenticare per un attimo i primi due schermi, le elezioni, i processi, e di focalizzarsi su come si stanno muovendo velocemente le cose attorno a Gerusalemme. Soprattutto con l’America. Vienna sarà il grande show, con gli europei che fanno la spola tra gli americani e gli iraniani che non vogliono parlarsi direttamente, in cui non succederà nulla, ma da cui inizieranno a muoversi molte cose, e a Israele, impigliato tra le maglie di un’elezione dietro all’altra, conviene non distrarsi dal terzo schermo, quello dei cambiamenti internazionali che nella vita del paese hanno sempre avuto un peso importantissimo. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)