Nel Mediterraneo
La visita di Draghi in Libia è un cambio di passo
Il premier italiano incontra il nuovo leader libico, Abdelhamid Dabaiba, che non vuole guardare al passato e alle faide storiche ma proporre un piano di ricostruzioni a tutti i suoi interlocutori. A cominciare dall'Italia
Negli ultimi anni il nostro peso specifico in una zona in cui abbiamo sempre avuto un ruolo di spicco si è molto alleggerito e intanto la Libia è uscita dal suo immobilismo cronico, dalla solita frattura tra est e ovest e dalla solita e pericolosa lotta tra Khalifa Haftar e Fayez al Serraj
Martedì mattina il premier Mario Draghi atterra a Tripoli: la sua prima visita all’estero è in Libia, e questo non è importante soltanto dal punto di vista diplomatico italiano – visto che negli ultimi anni il nostro peso specifico in una zona in cui abbiamo sempre avuto un ruolo di spicco si è molto alleggerito – ma anche perché la Libia è uscita dal suo immobilismo cronico e vuole offrire ai suoi interlocutori internazionali nuove opportunità. Il premier Draghi ha compreso questo cambio di passo ed è per questo che oggi arriva a Tripoli, accompagnato dal suo consigliere diplomatico, Luigi Mattiolo, e dalla consigliera Debora Lepre, che ha avuto un ruolo importante nell’organizzazione di questa visita.
Il cambiamento che ha portato la Libia fuori (almeno per adesso: si sa che questi equilibri sono precari) dalla solita frattura tra est e ovest e dalla solita e pericolosa lotta tra Khalifa Haftar e Fayez al Serraj è l’arrivo del nuovo premier Abdelhamid Dabaiba. Nominato dal Forum per il dialogo libico dell’Onu, Dabaiba ha sorpreso molti esperti perché per costruire il governo di unità nazionale che dovrebbe portare alle elezioni per ora previste a dicembre di quest’anno ha ignorato le divisioni ideologiche, territoriali, militari, le cosiddette appartenenze: ha parlato solo di affari.
Il centro studi Carnegie, sintetizzando la visione di Dabaiba, ha scritto: “Questo è il governo dell’‘agree to disagree’”, a tenerlo unito c’è la consapevolezza delle inconciliabilità croniche e storiche ma anche la volontà di riaprirsi al mondo dando una parvenza di credibilità e stabilità. In un’intervista al Corriere della Sera della settimana scorsa, Dabaiba ha detto esplicitamente che “la lingua che si parla nelle relazioni internazionali di questi tempi si esprime in termini economici”, la Libia ha molto bisogno di appoggio e investimenti ed è di questo che vuole parlare con il premier Draghi.
Per Dabaiba la formula “parleremo di affari non di armi” vale con l’Italia, decisiva, ma anche con l’Europa, la Turchia, l’Egitto, tutti gli attori che oggi hanno interessi nel paese. Parafrasando probabilmente a sua insaputa il “gusto del futuro” di Draghi, Dabaiba non vuole regolamenti di conti adesso, non vuole una guerra civile permanente, non vuole guardare al passato, preferisce discutere di come riaprire le tratte aeree con Roma e Milano, delle piccole aziende che una volta c’erano e poi sono scappate, di Salini Impregilo e di Eni naturalmente, partner imprescindibile per petrolio e gas con cui però è iniziato anche un progetto di pannelli solari.
L’Amministrazione americana di Joe Biden ha fatto molte pressioni su Italia, Francia e Germania per riprendere in mano la questione libica, in particolare chiedendo loro di far rispettare gli accordi presi per un ritiro delle truppe straniere dalla Libia: gli Stati Uniti si riferiscono soprattutto alle forze russe (e alla milizia della Wagner), ma anche a quelle turche (il segretario di stato americano Tony Blinken ne ha discusso direttamente con il suo omologo turco al vertice Nato di fine marzo). La Francia ha riaperto la propria ambasciata a Tripoli la settimana scorsa e il presidente, Emmanuel Macron, ha invitato il premier Dabaiba a Parigi. Draghi arriva come primo interlocutore, ma molti sperano, anche in America, che come si tenta di superare l’atavica rivalità tra Tripoli e Bengasi lo stesso possa avvenire fra Roma e Parigi.