40 notti di guerra discreta
Dalle esplosioni nel Mediterraneo ai raid aerei agli sciami di droni contro le raffinerie del greggio, il conflitto in accelerazione tra Iran e Israele (e i loro alleati) è appena un timido blip fra le notizie
Da un punto di vista tecnico Iran e Israele non sono due paesi in guerra. Dal punto di vista della realtà, sono a capo di due grandi schieramenti che si fanno la guerra tutti i giorni lungo un fronte che attraversa molti paesi come Libano, Siria, Iraq e Yemen e passa anche per il Mediterraneo orientale, il Mar Rosso e il Golfo dell’Oman. E’ una guerra senza eroi, senza monumenti, senza battaglie ma con molti morti e rischia tutti i giorni di diventare un conflitto più grande in una zona strategica del mondo. La chiusura accidentale del canale di Suez in confronto è stata uno scherzo. E’ una guerra camuffata da altre guerre: gli Ansar Allah contro i sauditi e le milizie irachene contro gli americani fanno parte anche loro della grande contesa per decidere chi controlla quella regione e alla fine i poli che si vogliono annullare a vicenda sono due: Israele e l’Iran dei pasdaran. Però i due poli sono diventati due grandi blocchi e coinvolgono molti alleati: l’Arabia Saudita, il regime siriano, gli Stati Uniti, gli Emirati Arabi Uniti, il Libano, lo Yemen e altri. E’ una guerra d’intelligence ma con molta azione e però non viene percepita. Non c’è un racconto unificato, di essa abbiamo soltanto una sequenza infinita di frammenti, di piccole notizie, di comunicati, di trafiletti di giornale. Abbiamo provato a raccogliere i frammenti degli ultimi quaranta giorni, è un campione assolutamente random che però rende l’idea di cosa sta succedendo laggiù. Ci sono stati altri periodi molto peggiori, ma è proprio il flusso casuale delle notizie a far paura. Abbiamo escluso grandi temi, come l’offensiva di terra a Marib in Yemen o l’arresto di sicari iraniani in Etiopia – mandati a colpire diplomatici degli Emirati Arabi Uniti. E’ la guerra dei trafiletti di giornale e a volte non ci sono nemmeno quelli (altre volte invece una singola notizia ruba tutta la scena: vedi il bombardamento ordinato da Joe Biden). In qualche caso li abbiamo un po’ espansi per dare più informazioni.
E’ giovedì 25 febbraio, i commandos iraniani attaccano la nave da carico Helios Ray nel Golfo dell’Oman. Qualcuno ha verificato che il cargo è di proprietà israeliana e britannica e questo lo rende un bersaglio nella guerra in mare tra Israele e l’Iran. Non è chiaro come arrivano i commandos così vicini alla Helios Ray, forse escono da un piccolo sottomarino classe Ghadir – che diventa invisibile quando si acquatta sul fondale molto basso in quell’area – o forse usano uno di quei mezzi ancora più piccoli che i sabotatori possono cavalcare sott’acqua. E’ una versione con tecnologia aggiornata delle missioni che faceva la Decima Mas italiana contro le navi inglesi ottant’anni fa e funziona ancora perché il Golfo è una strettoia affollata, è come avvicinarsi di soppiatto a qualcuno sulla banchina della metropolitana all’ora di punta. La regola non dichiarata di queste rappresaglie incrociate tra iraniani e israeliani dice che per adesso le navi devono essere danneggiate ma non affondate, quindi le mine magnetiche sono piazzate sopra la linea di galleggiamento. Questo ne riduce di molto la potenza perché una grande parte della forza dell’esplosione si disperde verso l’esterno – se esplodessero sotto la linea di galleggiamento invece succederebbe il contrario e la forza dell’esplosione compressa dall’acqua si sfogherebbe di più contro la fiancata. Il concetto è: costringere le navi a tornare al porto più vicino con gli scafi bucati e interrompere il loro viaggio, senza uccidere chi è a bordo. Due giorni dopo un team di specialisti israeliani mandato a Dubai (a Dubai negli Emirati Arabi Uniti, un viaggio che è possibile soltanto grazie agli accordi di agosto 2020) scrive in un rapporto che i sabotatori hanno applicato quattro mine, due per fiancata, e forse l’hanno fatto quando la nave israeliana era all’ancora proprio nel porto di Dubai pochi giorni prima.
Poche ore dopo alcuni aerei americani entrano nello spazio aereo siriano e lanciano sette bombe da 230 kg contro la base Imam Alì delle milizie irachene filoiraniane. Le milizie sono irachene e sono tollerate in Iraq, ma usano spesso quella base nel deserto siriano appena al di là del confine – che dispone di enormi hangar sotterranei e si ingrandisce sempre di più – per non mettere troppo in imbarazzo il governo dell’Iraq, che così non è costretto a giustificarsi con gli americani (il governo americano spende ancora molti soldi per appoggiare le forze armate irachene nella campagna di sicurezza contro lo Stato islamico). E’ venerdì 26 febbraio ed è il primo raid aereo dell’Amministrazione Biden. Il presidente americano lo ha autorizzato come rappresaglia per un bombardamento con ventiquattro razzi da parte delle milizie contro la città di Erbil, nel nord dell’Iraq, avvenuto due settimane prima.
Domenica 28 febbraio, due giorni dopo. In Yemen c’è una milizia armata e addestrata dall’Iran che si fa chiamare Ansar Allah, in arabo vuol dire i partigiani di Dio. Il loro motto in cinque parti è: “Dio è il più grande, morte all’America, morte a Israele, maledetti gli ebrei, vittoria per l’islam”. I media spesso li chiamano “ribelli Houthi” invece che usare il nome che loro stessi si sono dati, ma è ormai dal 2015 che controllano la capitale dello Yemen e di sicuro non sono più “ribelli”. Siedono nei palazzi del governo e controllano la maggior parte del paese. Michael Knights, un esperto dell’area, li chiama “southern Hezbollah”, gli hezbollah del sud, e questa definizione indica due cose: lo Yemen è il fianco sud di un’unica, grande guerra che attraversa tanti paesi diversi della regione e Ansar Allah è un gruppo armato che dipende dall’Iran, come Hezbollah in Libano. Il nemico diretto degli Ansar Allah su quel fronte sono i sauditi. Conosciamo la ferocia del principe erede al trono saudita Mohammed bin Salman – che è considerato il mandante dell’uccisione di Jamal Khashoggi ed è impegnato in una campagna di public relation e di riabilitazione permanente, anche con la partecipazione di Matteo Renzi – ma questo non rende migliori i soldati di Ansar Allah, che sono accusati di esecuzioni, di sequestri e di torture di massa contro i civili dai report indipendenti di Amnesty. Quella domenica Ansar Allah spara un missile Zulfiqar (come la spada a due punte di Maometto) contro la capitale saudita Riad e lancia anche nove droni esplosivi Sammad-3. Inoltre manda sei droni esplosivi Qasef-2k contro altre città. Gli ordigni volano tra i mille e i millequattrocento chilometri prima di raggiungere con precisione i loro bersagli, è come bombardare Milano dall’Aspromonte calabrese. Di solito i sauditi riescono a intercettare questi oggetti volanti con le loro batterie di missili, ma è una sorveglianza costosissima e ci sono attacchi ogni settimana. Negli ultimi anni sui giornali sono apparsi articoli suggestivi sugli “sciami di droni”, se ne parlava come di uno stratagemma per disorientare e sopraffare le difese dei nemici. Tra sauditi e yemeniti questa ipotesi futuristica è la normalità di tutti i giorni.
Sempre domenica 28 febbraio. Gli aerei israeliani bombardano di notte gli iraniani in Siria, vicino alla capitale Damasco. Lo fanno per bloccare i trasferimenti di missili dall’Iran, tutta la zona a sud della capitale è un grande scalo in mano agli iraniani che dormono in edifici civili e controllano basi anonime, mentre si occupano di spostare armi vicino al confine con Israele in vista di un possibile conflitto aperto. Qui la distanza è più ridotta, fra Damasco e Gerusalemme ci sono duecento chilometri. E’ il quinto raid aereo dall’inizio dell’anno.
Lunedì 1 marzo. Gli aerei israeliani bombardano di nuovo gli iraniani in Siria, vicino alla capitale Damasco. Per farlo non devono nemmeno entrare dentro lo spazio aereo della Siria. Volano sul mare verso nord, costeggiano il Libano, salgono in quota e quando sono ancora sul confine montagnoso tra Libano e Siria sganciano bombe che planano nell’aria per decine di chilometri con un sistema di guida che le porta sui bersagli mentre gli aerei sono già di ritorno verso le basi. Le bombe sono molto più piccole dei jet e quindi sono molto più difficili da intercettare.
Mercoledì 3 marzo. Le milizie iraniane lanciano razzi contro la base americana di al Asad, in Iraq. Nel dicembre 2018 il presidente americano Trump l’aveva visitata per fare gli auguri ai soldati, era considerata più sicura del resto del paese.
Giovedì 4 marzo. Gli yemeniti di Ansar Allah sparano un missile Quds-2 (“Gerusalemme”) contro un impianto di Aramco, la compagnia petrolifera saudita, sulla costa a nord di Jedda. La rete del greggio è un ovvio bersaglio dei bombardamenti perché è l’unica risorsa dei sauditi. Sono passati quattro giorni dall’ultimo attacco.
Domenica 7 marzo. Ansar Allah lancia un drone esplosivo contro il terminal petrolifero di Ras Tanura, in Arabia Saudita, da dove passa ogni giorno il sette per cento della domanda di petrolio di tutto il mondo. I sauditi scrivono un comunicato per dire di avere intercettato diciotto droni esplosivi nelle ultime quarantotto ore. All’aeroporto internazionale di Riad i ritardi e le interruzioni dei voli civili in attesa di avere il via libera fra un allarme e l’altro sono un fatto normale. I jet sauditi bombardano Sana’a, la capitale dello Yemen.
Mercoledì 10 marzo. I commandos israeliani attaccano una nave iraniana davanti alla costa della Siria, la Shar e Kord. Secondo le fonti sentite dal New York Times l’unità militare incaricata di queste operazioni è lo Shayetet 13, il gruppo di sabotatori della Marina israeliana, e a partire dal 2019 ha attaccato “almeno dieci navi, ma il numero reale potrebbe essere venti”. Piazza mine magnetiche sulle navi iraniane che trasportano greggio, armi e tecnologia militare verso la Siria in violazione delle sanzioni internazionali. La regola, come si diceva prima, è fermare il traffico ma non affondare i carghi – per evitare accuse e conseguenze internazionali. “Siamo in guerra a fari spenti”, dice Hossein Dalirian, un analista militare dell’Iran. Su una delle navi colpite c’era un miscelatore per combustibile solido che serve a produrre il propellente usato nei razzi ed era destinato a Hezbollah che così avrebbe potuto produrre il combustibile per i suoi missili – il miscelatore che aveva era stato distrutto in un bombardamento israeliano su Beirut nel 2018. Il combustibile solido ha molti vantaggi su quello liquido, è una miglioria che tutti gli armieri vogliono. E’ chiaro che questi attacchi in mare e i raid aerei in Siria contro bersagli precisi a terra sono soltanto l’atto finale di una raccolta di informazioni che va avanti senza sosta da parte degli israeliani. Per mitigare il problema, adesso le navi iraniane si mettono in convoglio dietro a una nave russa che le aspetta e con la sua presenza garantisce protezione. E’ un balletto che si vede con chiarezza quando le navi attraversano in fila il canale di Suez. Anche la Shar e Kord aveva fatto così, ma quando è arrivata sotto la costa siriana e la nave russa di scorta si è allontanata una carica esplosiva piazzata in qualche modo a bordo è esplosa lo stesso.
Martedì 16 marzo. Jet israeliani bombardano di notte gli iraniani in Siria vicino alla capitale Damasco, è il settimo raid aereo dall’inizio dell’anno. Jet sauditi fanno saltare in aria un Rc-Wbied lanciato in mare dagli yemeniti di Ansar Allah, il video dell’operazione è pubblicato. La sigla vuol dire: remote controlled water born improvised explosive device, in pratica è uno scafo con motore fuoribordo e carico di esplosivo guidato da lontano, è un motoscafo-drone. Può attaccare le navi nemiche che passano nel Mar Rosso se non viene individuato e fatto saltare in aria prima come succede in questo caso. Gli Ansar Allah quando fanno queste manovre ricevono informazioni dalla nave militare iraniana Saviz, che mascherata da mercantile sta quasi sempre alla fonda dalla parte opposta rispetto al traffico di navi che passa davanti alle coste dello Yemen. E’ stata scoperta nel 2017, ma continua a fare da sentinella galleggiante quasi sempre nella stessa posizione per tenere d’occhio chi passa. Saviz è un nome che tornerà più avanti.
Venerdì 19 marzo. Il conteggio dei droni e dei missili lanciati da Ansar Allah contro i sauditi nelle ultime due settimane arriva a 52.
Giovedì 25 marzo. La milizia irachena Raballah sfila per le strade di Baghdad con i suoi veicoli, i passamontagna sui volti e le armi. Minaccia il governo, vuole la cacciata degli americani. E’ una creazione dell’Iran e prende ordini dall’Iran, ma non se ne parlerà nel nuovo round di negoziati sul programma atomico iraniano che è in corso in queste settimane in due hotel di Vienna, in Austria. E’ come se il programma atomico fosse un esercizio diplomatico-scientifico, non collegato a quello che succede nel resto della regione. Raballah vuole fare la guerra ai soldati americani in Iraq, ma i tempi dell’invasione del 2003 sono lontanissimi, gli americani sono soltanto duemilacinquecento e si occupano di raccogliere informazioni e di guidare i raid aerei contro lo Stato islamico (per fare un raffronto: i vigili urbani a Roma sono seimila). Il governo iracheno ha detto più volte che i militari americani sono essenziali nella campagna contro il terrorismo.
Sabato 27 marzo. Due motoscafi-droni lanciati da Ansar Allah sono intercettati in mare dai sauditi.
Martedì 30 marzo. Per la prima volta le milizie irachene usano una bomba magnetica contro un convoglio che andava a rifornire una base americana. E’ lo stesso concetto già usato in mare contro le navi, evita ai sabotatori di dover aspettare al varco il convoglio.
Mercoledì 31 marzo. Bomba contro un convoglio di rifornimenti destinato agli americani in Iraq.
Venerdì 1 aprile. Bomba contro un convoglio di rifornimenti destinato agli americani in Iraq.
Domenica 4 aprile, Pasqua. Cinque bombe contro cinque convogli di rifornimenti destinati agli americani in Iraq. Due razzi contro una base americana a nord di Baghdad.
Martedì 6 aprile. Commandos israeliani piazzano mine magnetiche contro la nave militare iraniana Saviz, già menzionata prima, che da anni finge di essere un mercantile all’ancora nel Mar Rosso per tenere d’occhio chi passa e raccogliere informazioni. Le foto da bordo mostrano la sala macchine allagata, la Saviz è stata colpita sotto la linea di galleggiamento – e come abbiamo visto è una rottura della regola tacita che era stata rispettata per due anni. Gli esperti di fotografie satellitari scoprono che un sottomarino israeliano classe Dolphin era in navigazione proprio in quella zona e i suoi spostamenti sono compatibili con l’attacco. Poteva portare una squadra dello Shayetet 13 a bordo. In un pezzo del New York Times succede l’inaudito: fonti militari americane dicono di essere state avvertite da fonti israeliane dell’attacco, che sarebbe avvenuto alle sette e mezza locali, e in molti notano che la portaerei americana Eisenhower era nella zona fino a poco tempo prima ma si era allontanata in fretta, come se non volesse essere presente sulla scena.
Mercoledì 7 aprile. I jet israeliani bombardano di notte gli iraniani in Siria, vicino alla capitale Damasco.