Nella colonia penale

Navalny, vivo o morto

Il volto più famoso dell'opposizione russa sta male e in prigione fa lo sciopero della fame e combatte con l'unico strumento che gli è rimasto: il suo corpo

Micol Flammini

All'oppositore vengono negate le visita mediche, ha febbre e difficoltà a respirare, ma nella colonia penale in cui è detenuto non gli danno la possibilità di essere curato. Il Cremlino guarda, nella speranza di vederlo sparire

Roma. Le condizioni di salute di Alexei Navalny peggiorano. L’oppositore russo si trova nella colonia penale di Pokrov da fine febbraio e dal 31 marzo ha iniziato lo sciopero della fame perché in prigione si rifiutano di portarlo da un medico. Da alcune settimane Navalny racconta di stare molto male, lo stesso dicono i suoi avvocati che sono riusciti a vederlo. Dice di avere forti dolori alle gambe, di aver perso la sensibilità alle mani, di avere febbre e problemi respiratori. Ha chiesto di essere visitato, ma  il servizio  carcerario continua a  rifiutarsi. Il suo medico, la dottoressa Anastasia Vasilyeva,  è andata  a Pokrov, fino alle porte della colonia penale numero due assieme ad altri medici. Lei era lì per vedere il suo paziente, dottori e sostenitori per protestare. E’ stata arrestata assieme ad altri, tra medici, manifestanti e giornalisti. I medici sono preoccupati che la perdita di sensibilità alle mani e i problemi alle gambe siano  una conseguenza dell’avvelenamento  che Navalny ha subìto in agosto e per il quale è stato curato  a Berlino. A tre uomini che vivono nella sua stessa baracca è stata diagnosticata la tubercolosi e  c’è chi teme che le sue difficoltà a respirare e la febbre siano sintomi della stessa malattia. Tutti questi dubbi sarebbero risolti da una visita. Il Cremlino ha detto che non c’è da preoccuparsi, qualora Navalny fosse malato, riceverebbe delle cure appropriate. Le inchieste sull’avvelenamento dell’oppositore portano all’intelligence russa, un agente ha anche confessato, e chi teme per la vita di Navalny ha molta difficoltà a credere alle promesse del Cremlino. 

 

Sua moglie Yulia ha ricevuto anche una lettera da parte del direttore della prigione, in cui le veniva detto che era impossibile portare Navalny da un medico perché nessuno ritrovava il suo passaporto. O si tratta di una scusa o Navalny è stato quindi arrestato senza che avesse i documenti con sé. 

 

Il suo sciopero della fame è una forma di protesta importante, l’Economist ha scritto che l’oppositore si è messo a lottare con l’unico mezzo che ha: il suo corpo. Durante la prigionia viene anche privato del sonno, una privazione che rischia di far precipitare ancora di più le sue condizioni di salute. Rt, l’emittente del Cremlino, ha pensato di realizzare un servizio sulla colonia penale di Pokrov – a gennaio l’arresto di Navalny ha scatenato delle forti proteste in Russia e si teme che le voci sulle sue condizioni di salute possano riportare le persone in strada – e ha mandato a incontrare Navalny e a riprendere i locali della prigione una giornalista d’eccezione: Maria Butina. La Butina è stata arrestata in America nel 2018 con l’accusa di  essersi infiltrata nel Partito repubblicano per  creare dei canali di comunicazione tra la Casa Bianca e Mosca. In quell’occasione, Navalny aveva anche preso le difese dell’ex studentessa siberiana diventata una star e una patriota dopo le vicende americane. Nel filmato realizzato in prigione, Butina arriva e inizia a insultare Navalny, per le sue lamentele sulle condizioni in cui viene detenuto: “Questo è meglio di un albergo”, dice guardandosi attorno e indicando la camerata spoglia. Nel servizio Navalny non viene mai inquadrato: nessuno voleva mostrare alla Russia, anche a quella che non lo sostiene e che crede che la sua detenzione sia giusta, la trasfigurazione dell’oppositore. 

 

 

Da quando è iniziato lo sciopero della fame, Navalny ha raccontato che nelle sue tasche vengono infilate cibarie di ogni genere, che è anche arrivata una griglia in regalo per i detenuti. Ma che lui non cede, combatte con il suo corpo, stremato. Il Cremlino, che mettendolo in una colonia penale pensava e sperava di condannarlo a un viaggio verso il silenzio, è pronto a giocare fino alla fine con la vita di Navalny. Vivo o morto, sembra pronto a tutto pur di vederlo scomparire. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)