La "nuova Libia" stringe la mano a Putin e dialoga con l'Onu
Il premier Dbaiba parla con il presidente russo e riesce persino dove aveva fallito Haftar. Oggi le Nazioni Unite votano per inviare osservatori nel paese. Sulla scarcerazione del trafficante di esseri umani Bija, Filippo Grandi (Unhcr) dice al Foglio che non è un buon segno
La complicata fase di transizione politica in Libia potrebbe vivere un passaggio significativo oggi, quando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite voterà sul dispiegamento di una sessantina di funzionari che dovrebbero monitorare il rispetto del cessate il fuoco. L’approvazione non è scontata. Basti pensare che la Russia, membro permanente del Consiglio, è direttamente coinvolta sul terreno tramite i mercenari della Wagner, la società di sicurezza privata usata dal Cremlino per sostenere le forze nell’est della Libia. Ieri, mentre gli Stati Uniti annunciavano sanzioni economiche ancora più dure nei confronti del capo della società russa, l’oligarca Evgenij Prigožin, il primo ministro libico Abdul Hamid Dbaiba è volato a Mosca per incontrare il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Il dato politico di maggior rilievo è che il nuovo premier ha anche avuto la possibilità di parlare per telefono direttamente con il presidente Vladimir Putin che ufficialmente non parlava con un leader libico dai tempi di Gheddafi. Nemmeno il generale Khalifa Haftar, considerato l'uomo del Cremlino in Libia, aveva mai convinto così tanto Putin al punto dal convincerlo a incontrarlo di persona, o ad avere un colloquio ufficiale con lui. L'ex presidente del governo di unità nazionale di Tripoli, Fayez al Serraj, nel 2019 riuscì a strappare una foto con Putin a Sochi nel 2019, ma fu durante un vertice russo-africano e si trattava di una foto di rito, che il presidente russo scattò con tutti gli altri paesi africani. “Stavolta è stato diverso e Putin ha voluto dare un segnale per dire che Dbaiba è diverso da Serraj o da Haftar – ci dice l'esperto di Libia Jalel Harchaoui - “ha apprezzato soprattutto la personalità distinta del nuovo premier, la sua voglia di fare affari”. Nelle dichiarazioni finali rese dalle due delegazioni, ovviamente, non si è fatto alcun riferimento ai mercenari russi presenti in Libia, segno ulteriore della grande attenzione di Dbaiba nel non urtare troppo le sensibilità diplomatiche di Russia e Turchia, le due forze esterne più attive militarmente in Libia.
Questo lungo processo che dovrebbe condurre – nella più ottimista delle ipotesi – alle elezioni del prossimo dicembre ha visto il ritorno a un certo attivismo delle organizzazione internazionali. Oltre al voto di oggi a New York per l’invio di un team dell’Unsmil (la missione Onu du supporto alla Libia) e al rinnovo del mandato della missione europea Irini (che tenta di monitorare le violazioni dell’embargo delle armi via mare e cielo), da qualche mese è tornata a operare direttamente da Tripoli anche la missione europea Eubam for Libya – che collabora con le autorità locali sul fronte del controllo delle frontiere. L’Onu ha già avviato le trattative con il nuovo governo libico per potenziare altre missioni già attive, come quelle di Unhcr, Oim e Unicef.
Soprattutto quest’ultimo punto riguarda da vicino l’Italia per quanto riguarda il dossier dell’immigrazione. Oggi l’Alto commissario dell’Unhcr per i rifugiati, Filippo Grandi, ha fatto alcune dichiarazioni rilevanti a proposito della situazione in Libia. Durante una conferenza stampa a Roma, Grandi ha dichiarato che “è comprensibile la necessità di sostenere la Guardia costiera libica” da parte dell’Europa ma allo stesso tempo ha fatto notare come “non sono stati fatti analoghi investimenti in altre istituzioni libiche, che per fare sì che le persone recuperate in mare fossero accolte sulla terra ferma. Per questo per noi la Libia resta un porto non sicuro”. E’ quello che il piano dell’ex ministro dell’Interno italiano Marco Minniti ha sempre affermato di volere mettere in pratica quando era al Viminale, ma che oggi invece rimane un sistema zoppo, incapace si assicurare il rispetto dei diritti umani sulla terra ferma. Un sistema che il nuovo governo libico non sembra ancora incline a cambiare. Qualche giorno fa è stato liberato un ufficiale della Guardia costiera libica e noto trafficante di esseri umani, accusato dall’Onu per crimini contro l’umanità, Abdel Rahman al Milad, detto “Bija”. Era stato messo in carcere sei mesi fa con una mossa più di facciata che si sostanza da parte delle autorità di Tripoli, ma ora il nuovo esecutivo l’ha rimesso in libertà, sollevando molti dubbi sulle prospettive di una reale svolta sul fronte del rispetto dei diritti umani in Libia. “Non mi pronuncio sui provvedimenti presi dal governo libico – ha detto al Foglio Filippo Grandi – ma crediamo che la Libia debba dare segnali più forti per bloccare la criminalità organizzata. E questa scarcerazione ci preoccupa perché non dà un segnale in questo senso”.