In Perù Vargas Llosa invita a votare per il “male minore” Keiko Fujimori
La figlia dell’ex-presidente al ballottaggio contro il maestro e sindacalista Pedro Castillo, sostenitore del regime di Maduro in Venezuela, e pronto a chiedere una riforma della Costituzione per potere nazionalizzare a tutto spiano
Clamoroso in Perù: Mario Vargas Llosa invita a votare per Keiko Fujimori come “male minore”. I dati definitivi sul voto dell’11 aprile danno la figlia dell’ex-presidente al ballottaggio contro il maestro e sindacalista di estrema sinistra Pedro Castillo, sia pure in un quadro di grande frantumazioni. Castillo ha infatti ottenuto solo il 19,06 per cento e Keiko il 13,36, contro l’11,71 del candidato della destra cattolica Rafael López Aliaga, l’11,6 del sociologo studioso del capitalismo informale Hernando de Soto, il 9,1 del centrista Yonhy Lescano, il 7,86 dell’altra candidata di sinistra Verónika Mendoza, il 6,02 dell’altro candidato liberale César Acuña, il 5,63 dell’ex-calciatore (anche dell’Atalanta) George Forsyth, il 5,62 l’ex-ministro dell’Interno Daniel Urresti. Insomma, le varie sfumature di centro, centro-destra e destra avrebbero un’ampia maggioranza. Ma il nome Fujimori, pur popolare in certi ambienti, suscita in altri rifiuti tali che Castillo potrebbe farcela.
Il Nobel per la Letteratura si candidò nel 1990, e dopo una campagna elettorale condotta tutta in testa finì sconfitto dallo sconosciuto agronomo di origine giapponese Alberto Fujimori, per cui votò in blocco la sinistra pur di fermare la strada al progetto “neo-liberale” dello scrittore. Vargas Llosa, che aveva deciso di scendere in campo in reazione al disastro economico provocato dal populismo del presidente Alan García, dopo la sconfitta se ne andò dal Perù: la storia la raccontò anche nel suo libro “El pez en el agua”, che ricorda su piani paralleli la sua giovinezza fino alla prima partenza dell’estero e la sua candidatura fino alla seconda partenza. Ma anche Alan García dovette andarsene dopo il golpe bianco di Fujimori contro il Parlamento e la sua stretta repressiva. “Che errore ho fatto!”, ripeteva nelle intervista quando gli chiedevano della scelta di appoggiare Fujimori contro Vargas Llosa.
Per i suoi sostenitori vincitore della terribile inflazione lasciata da Alan García e anche del terrorismo di Sendero Luminoso, per i suoi avversari feroce dittatore, Fujimori è stato poi costretto alle dimissioni nel 2000, e il 7 aprile 2009 è stato condannato a 25 anni di reclusione per 25 omicidi compiuti dai paramilitari legati ai servizi segreti durante il suo governo, divenuti poi 32 anni dopo un’altra condanna per corruzione e uso di fondi pubblici a fini illeciti. E dallo scorso primo marzo è partito contro di lui anche un altro processo per la vicenda di 350.000 donne povere sterilizzate a forza: con fondi di Usaid e Onu e elogi della Oms. Però a sua volta Castillo è un sostenitore del regime di Maduro in Venezuela, e chiede una riforma della Costituzione per potere nazionalizzare a tutto spiano.
Dal 2000 in poi Vargas Llosa diventato un grande king maker di presidenti. Nel 2000, in particolare , appoggiò prima la candidatura dell”Indio di Harvard” Alejandro Toledo contro Fujimori, e poi la mobilitazione popolare da lui guidata contro le accuse di brogli che portò alle dimissioni dell’oriundo giapponese. Nel 2006 appoggiò come “male minore” il redivivo Alan García contro Ollanta Humala, che si presentava come un “Chávez peruviano”. Nel 2011 appoggiò invece proprio Ollanta Humala come “male minore” contro Keiko Fujimori. Va detto che sia García che Humala ringraziarono e si impegnarono a dare le garanzie che lo scrittore aveva chiesto. Nel 2016 ancora contro Keiko Fujimori appoggiò Pedro Pablo Kuczynski. Va detto che tutti i candidati appoggiati da Vargas Llosa hanno vinto, ma anche che tutti i presidenti eletti in Perù dal 1986 sono finiti poi in carcere. Salvo Alan García, che lo ha evitato semplicemente col suicidarsi.
“I peruviani devono votare per Keiko Fujimori perché rappresenta il male minore”, ha scritto in un editoriale pubblicato dal giornale messicano Crónica e poi rilanciato anche da altre testate, dal titolo eloquente: “Avvicinandosi all’abisso” Rimasto in silenzio durante la campagna elettorale, Vargas Llosa prevede ora che un governo di Castillo sarebbe “la copia di quello del Comandante Chávez in Venezuela, che ha obbligato più di cinque milioni di venezuelani a emigrare nei paesi vicini per non morire di fame”. Ricorda anche che “i suoi due maestri” sono il boliviano Evo Morales, su cui corrono rumori che potrebbe aver finanziato la sua candidatura; e l’ecuadoriano Rafael Correa, “che non può rimettere piede nel suo paese perché andrebbe in carcere, per delitti commessi durante il suo mandato presidenziale”.
Secondo lo scrittore la società voluta da Castillo “avrà tutte le caratteristiche di una società comunista in una epoca in cui - i peruviani che hanno votato per lui non sembrano ancora essersene resi conto - il comunismo è scomparso dal pianeta, con le eccezioni più orripilanti, cioè Cuba, Venezuela, Nicaragua e Corea del Nord”. “Ho il convincimento assoluto che se Castillo, con tali idee, arriva a prendere il potere al secondo turno elettorale, in un paio di mesi, non ci saranno più elezioni pulite”, sostituite da “parodie come quelle che organizza di tanto in tanto Nicolás Maduro in Venezuela per giustificare il suo regime impopolare”. E c’è pure il rischio che per fermarlo sia allora necessario un golpe che comunque farebbe “retrocedere il paese in maniera barbara”.
Di fronte a questo abisso c’è Keiko Fujimori, “che fino ad ora ha difeso suo padre, l'ex dittatore, da cui aveva provvisoriamente preso le distanze, ma ora non più, dal momento che ha promesso di perdonarlo se salirà al potere”. Di lei Vargas Llosa ricorda anche che ha tratto beneficio dalla dittatura, e che è stata accusata di corruzione nell’ambito dello scandalo Lava Jato, con accuse che potrebbero comportare fino a 30 anni di carcere”. Ma malgrado ciò per lo scrittore “ci sono, con lei al potere, maggiori possibilità di salvare la nostra democrazia, mentre con Pedro Castillo non ne vedo nessuna”.
Le chiede però, in cambio del suo appoggio, di accettare alcune condizioni, come già fecero Alan García e Humala: rispettare la libertà di espressione; non perdonare Vladimiro Montesinos, “responsabile dei peggiori crimini e rapine della dittatura”; non espellere o cambiare i giudici e procuratori; “e, soprattutto, indire elezioni a fine mandato, tra cinque anni ”.
Secondo Álvaro Vargas Llosa, figlio del Nobel, Keiko avrebbe letto l’editoriale e si sarebbe subito messa in contatto per accettare le condizioni. Lei stessa lo ha confermato in un comizio. “Ringrazio e saluto il sostegno dello scrittore Mario Vargas Llosa perché in questo momento non stiamo solo affrontando la pandemia e la fame, ma stiamo anche affrontando il comunismo”.
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