A Minneapolis
Il verdetto sull'omicidio di George Floyd
Tre capi di accusa, tre condanne per Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd. Un punto di svolta importante per la battaglia di Black Lives Matter
In ognuna delle tre fattispecie si esclude la premeditazione (nessuno pensa che Chauvin quel giorno fosse uscito di casa per uccidere qualcuno) ma tutte e tre riguardano il fatto che Chauvin abbia usato una forza immotivata e sproporzionata
Tre capi di accusa, tre condanne.
Finisce così, con una sentenza di colpevolezza piena, il processo a Derek Chauvin, il poliziotto che lo scorso 20 maggio a Minneapolis ha arrestato e bloccato, tenendogli un ginocchio sul collo per 9 minuti, George Floyd, uomo disarmato e immobilizzato che aveva smerciato una banconota falsa da 20 dollari.
Il caso, a suo tempo, diede il via a un’enorme reazione, prima sui social (anche perché fu trasmesso praticamente in diretta dai passanti) e poi per le strade, dando il via alle enormi proteste di Black Lives Matter, marce nelle quali si incanalarono la rabbia, ma soprattutto la spossatezza dei neri americani, affaticati e umiliati da anni di (provato) razzismo sistemico, di violenza pregiudiziale e di ‘grilletto facile’ delle polizia nei loro confronti.
La sentenza su Chauvin e il caso mediatico che ci gira intorno, segnano un punto dal quale sarà difficile tornare indietro, circa quel che è tollerabile e accettabile nella società americana.
Per questo il processo a Chauvin è stato tanto atteso e osservato. Perchè più che il processo a un uomo, con il passare dei giorni, è diventato il processo a un sistema intero e a decenni di storia e di ‘si è sempre fatto così’. E’ diventato una sineddoche di quel che sono i limiti del senso della giustizia di un Paese intero. Non a caso, la faccenda è, da mesi, un caso politico più che giudiziario e Minneapolis (città di Floyd e Chauvin e nella quale pochi giorni fa, di nuovo, una poliziotta bianca ha ucciso un nero disarmato fermato per una risibile infrazione stradale) è blindata da giorni con scuole e negozi- di nuovo- chiusi. Non a caso, le parole della deputata californiana dell’ala più progressista del partito democratico, Maxine Waters, hanno sollevato un polverone, dal momento che ha esortato i cittadini neri di Minneapolis a "rimanere in strada" e a "preprarsi al conflitto" se Chauvin fosse stato assolto.
L’ex poliziotto, nello specifico, era accusato di tre cose, simili ma diverse, che, per come funziona il sistema americano, richiedono ognuna un verdetto distinto e sommabile agli altri. La giuria lo ha riconosciuto colpevole, per tutti e tre i capi d’accusa.
In particolare, quello su cui erano chiamati a esprimersi i giudici, non era la premeditazione (esclusa in partenza) ma il fatto che Chauvin abbia usato una forza immotivata e sproporzionata.. Il punto, e la differenza tra i capi di imputazione, stava nello stabilire quanto egli fosse consapevole delle conseguenze di quel che stava facendo e quanto deliberatamente abbia scelto di continuare a farlo.
Il primo capo di imputazione era quello di “manslaughter”, il nostro omicidio colposo: in pratica l’accusa aveva chiesto alla giuria di decidere se Chauvin fosse un assassino o un pessimo poliziotto, incapace di decidere quale fosse il modo migliore per immobilizzare un uomo e incapace di stimare l’effetto delle sue azioni. In questo caso Floyd sarebbe stato ucciso dalla negligenza di Chauvin, più che dalla sua crudeltà.
Il secondo caso di imputazione, omicidio di secondo grado, invece era un po’ più grave perché riguardava il fatto che l’abuso di forza praticato da Chauvin nei confronti di Floyd fosse voluto e pensato, nonostante non fosse necessario.
Il terzo capo di imputazione, il più grave, era omicidio di terzo grado e riguardava l’ipotesi che Chauvin fosse perfettamente consapevole dei legami di cause ed effetto delle sue azioni e che abbia soffocato per minuti Floyd perfettamente conscio del fatto che così, il suo prigioniero sarebbe morto. In pratica, per usare le parole dell’accusa, si trattava di stabilire se Chauvin avesse o meno mostrato ‘disprezzo della vita umana”.
A pesare sul piatto dell’accusa c'erano le testimonianze (toccanti e decisamente efficaci) dei passanti, alcuni dei quali hanno filmato l’episodio con il cellulare, che in lacrime hanno ricordato di aver supplicato più volte Chauvin di lasciar respirare Floyd che era a terra immobile e che chiedeva aria; c’è il poi fatto che l’autopsia a Floyd ha dimostrato che la sua morte è stata provocata da soffocamento, e soprattutto c’è stata la testimonianza del capo della polizia della città di Minneapolis che ha detto che la manovra praticata da Chauvin va oltre le prassi indicate per gli arresti.
Sul piatto della difesa (Chauvin non ha testimoniato, appellandosi al V emendamento) c’era il fatto che risulta che Floyd avesse problemi cardiaci e di dipendenza da oppiacei. Inoltre, sempre secondo l’accusa, il video dei minuti della morte di Floyd andrebbe inserito in un contesto più ampio, ossia nei 16 minuti complessivi dell’operazione, nel corso dei quali Floyd avrebbe dimostrato resistenza attiva e ostilità, tanto che Chauvin è arrivato sul posto in rinforzo ad altri due giovani poliziotti che non stavano riuscendo ad arrestarlo.