La cancel culture vista dal più grande sindacato studentesco della Francia
Così l’Unef francese ha trovato nelle “riunioni non miste” la sua battaglia
A inizio marzo, la sezione di Grénoble dell’Unef, il principale sindacato studentesco francese, decise di mettere su Twitter i nomi dei due professori di Sciences Po che erano appena stati bersaglio di scritte infamanti sui muri dell’istituto, “i fascisti nelle nostre aule” e “l’islamofobia uccide”, per aver espresso un’opinione smarcata dalla gauche radicale in materia di islam. Un invito al linciaggio a pochi mesi dalla decapitazione del professore di storia e geografia Samuel Paty perché “islamofobo” e nei giorni in cui Didier Lemaire, insegnante di filosofia di Trappes, veniva messo sotto scorta e allontanato da scuola per aver detto che la sua città era “in mano agli islamisti”.
L’Unef, dinanzi all’ondata di indignazione prodotta da quel tweet, decise di ritirarlo e di scusarsi per la “maladresse”, lo scivolone. Ma soltanto due settimane dopo, il 17 marzo, è tornata a far parlare di sé su Europe 1. La presidente dell’Unef Mélanie Luce ha ammesso che la sua associazione organizza “riunioni non-miste” nelle università, dove “i bianchi” non sono ammessi perché farebbero parte di coloro che dominano e sarebbero all’origine di quel “razzismo sistemico” che opprime la società francese. “Sono cose che assomigliano al fascismo”, ha reagito il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer.
Il Foglio ha provato a contattare più volte varie persone dell’Unef per approfondire tali questioni, ricevendo soltanto una laconica risposta del vicepresidente Adrien Liénard che ci invitava a ricontattare via mail il service de presse: lo abbiamo fatto la scorsa settimana, ma da quel momento c’è stato silenzio. “Noi siamo un sindacato apartitico e difendiamo dei valori universali. Oggi è sempre più difficile lavorare in comune, superare i disaccordi e le opinioni politiche divergenti. Su molti temi con l’Unef è diventato complicato parlarsi, perché sono ermetici alla discussione, al dialogo, a visioni contrarie alla loro”, spiega al Foglio Noémie Madar, presidente dell’Union des étudiants juifs de France (Uejf), la più importante associazione degli studenti ebrei francesi. L’Unef, nel mondo studentesco d’oltralpe, è considerato coloniale, razzialista e indigenista proveniente dall’America. “Secondo lo schema del loro antirazzismo ci sono gli oppressori e gli oppressi, i ‘non razzizzati’ e i ‘razzizzati’”, dice al Foglio Noémie Madar. Una visione binaria, manichea, che applicano a tutta la società francese, e dove gli ebrei farebbero parte dei “dominanti”, di coloro che rendono la Francia “intrinsecamente razzista”. “Gli ebrei non sono visti come vittime, nonostante la presenza di un antisemitismo molto forte nelle università. L’incapacità di ascoltare dell’Unef accentua questo antisemitismo. Quando il nostro locale è stato saccheggiato tre anni fa, alcuni militanti di estrema sinistra non hanno ammesso che si trattava antisemitismo perché sui muri c’era scritto ‘Morte a Israele’, come se ‘Morte a Israele’ potesse giustificare quell’atto”, spiega la presidente dell’Uejf.
Lo scorso 1° aprile, il Senato francese, nel quadro del progetto di legge contro il separatismo promosso dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin, ha adottato un “emendamento Unef” che vieterà nel futuro la tenuta di “riunioni non-miste”, considerate una forma di segregazione ostile ai valori della République. L’abbandono dell’universalismo della sinistra storica a favore di una visione comunitarista all’interno dell’Unef è legato anche allo sfaldamento dei partiti appartenenti a quel campo politico. “L’Unef è sempre stata vicina ideologicamente e nella costruzione dei militanti ai partiti di sinistra, in particolare al Partito socialista, con un antirazzismo a vocazione universale. Il crollo di queste formazioni comporta anche un’evaporazione delle loro idee nel mondo sindacale. L’antirazzismo attuale dell’Unef è rivolto verso se stesso, non verso l’esterno, si guarda a partire dalle proprie ferite e le considera all’origine dell’antirazzismo”, afferma Noémie Madar.
Il cambiamento è più culturale che generazionale. “Da un certo punto di vista penso che sia positivo un certo cambiamento perché la questione delle discriminazioni è sempre più pregnante nella società. Ma allo stesso tempo il militantismo razzialista dell’Unef è una forma di ripiegamento su di sé. A mio avviso non è un cambiamento generazionale, perché anche io faccio parte di quella generazione, credo sia piuttosto un movimento culturale”, sottolinea la dirigente dell’Uejf.
Il New York Times, la scorsa settimana, ha dedicato la sua prima pagina all’Unef, chiedendosi se il sindacato rappresenti l’incarnazione delle idee di ispirazione americana che minacciano i princìpi fondatori della Francia o, come sostengono i suoi dirigenti, l’avanguardia delle mutazioni francesi. “La società americana non è costruita come quella francese: la prima è un’addizione di comunità, la seconda è un’addizione di cittadini”, afferma Noémie Madar. E conclude: “La visione dell’Unef, secondo cui ogni comunità è la sola a poter comprendere il proprio dolore e parlarne, corrisponde a una visione americana. Non ha nulla a che vedere con l’universalismo francese”.