competizioni spaziali

Guardare il lancio di SpaceX e capire che un'utopia sta finendo. Mosca fuori dall'Iss

Mentre l'America ricomincia a riappropriarsi dei suoi primati, la Russia decide di andare per conto suo e i suoi progetti sembrano ormai convergere con quelli cinesi

Micol Flammini

La Russia vuole lasciare la Stazione spaziale internazionale che per anni è stata il fulcro degli accordi, degli allineamenti, della pace e della collaborazione che mancava sulla Terra tra americani e russi. Ora lo spazio diventerà un po' più simile alla Terra

E’ partita ieri dal John Fitzgerald Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida, la navicella spaziale Crew-2 Dragon di SpaceX. A bordo c’era Thomas Pesquet, astronauta della Normandia che ha fatto inorgoglire tutta la Francia – era da molto che Parigi non andava nello spazio – assieme a due americani, Shane Kimbrough e Megan McArthur, e un giapponese, Akihiko Hoshide. Tutti diretti verso la Stazione spaziale internazionale (Iss) che per anni è stata il fulcro degli accordi, degli allineamenti, della pace e della collaborazione che mancava sulla Terra. E’ stata creata da americani e russi, come una promessa, nel 1998, e se tutto continuava a peggiorare, ad andare storto, se scorrevano minacce tra le due nazioni, tutto si quietava nello spazio. 

 

L’utopia sta per finire, perché la scorsa settimana la Russia ha annunciato che intende abbandonare l’Iss, probabilmente nel 2025. Ha fatto sapere che già è al lavoro a un progetto suo, tutto russo, e che la decisione è motivata dal fatto che l’Iss non è messa bene, ha bisogno di manutenzione e Mosca non può permettersi di mettere a rischio la vita dei suoi astronauti. Che la Stazione spaziale internazionale abbia bisogno  di interventi è vero, ma la Nasa sostiene che l’Iss possa continuare a orbitare almeno fino al 2028.

 

La Stazione spaziale internazionale esiste grazie alla collaborazione, innanzitutto, di americani e russi, ma poi si sono aggiunti anche gli europei, i giapponesi, i canadesi e dal 2000 ha accolto 243 persone provenienti da diciannove paesi diversi. Ma la Russia ha deciso di uscire da questo mondo parallelo fatto di scienza e curiosità. Nel ricordare i sessant’anni dal volo di Yuri Gagarin, Vladimir Putin ha esortato la nazione a mantenere il suo primato e gli standard alti nella ricerca spaziale e il capo della Roscosmos, Dmitri Rogozin, ha detto che il cenno del presidente russo è stato importante, è stato il segnale di via per iniziare a pensare a una stazione spaziale nazionale – un ossimoro. La collaborazione nel cosmo a un certo punto era diventata una necessità: la navicella di progettazione sovietica Soyuz è stata per anni l’unico mezzo per arrivare nello spazio e la Russia in questo modo si è garantita finanziamenti occidentali, denaro fondamentale per mandare avanti i suoi progetti. Il monopolio però è terminato lo scorso anno, quando Elon Musk è riuscito a rilanciare l’epoca dell’America nello spazio. Il primo lancio di SpaceX fu un successo, la Roscosmos si congratulò subito, ma in un attimo riuscì a capire cosa significasse quella nuova avventura: la fine del monopolio russo nei lanci e nel trasporto degli astronauti verso l’Iss. 

 

Tanto più che Bajkonur, la Città dello Spazio da dove vengono lanciate le Soyuz,  non è in buono stato, e Rogozin, per rilanciare la forza russa, propone di decorare i veicoli spaziali con motivi tradizionali. E’ un momento di fine impero, che ha lasciato Mosca con l’amarezza in bocca: Musk voleva comprare i Soyuz, poi si ritirò dall’offerta e decise di costruirli da solo. Qualche mese fa Musk invitò Putin a chiacchierare su Clubhouse, forse avrebbe voluto parlargli di spazio, ma non c’è stata nessuna chiacchierata, nessun incontro. Forse un’altra occasione non colta per la Russia. Così, mentre l’America ricomincia a riappropriarsi dei suoi primati, la Russia decide di andare per conto suo, di rompere la tregua e di far seguire nello spazio la logica che domina sulla Terra. Ma da sola non potrà andare troppo lontano, infatti i suoi progetti sembrano ormai convergere con quelli cinesi. A marzo Pechino e Mosca hanno deciso di sviluppare una base lunare e pochi mesi prima la Roscosmos aveva rifiutato l’offerta della Nasa di partecipare al programma Artemis, per far sbarcare il prossimo uomo sulla Luna. 

 

E anche in questo nello spazio le logiche inizieranno ad assomigliare un po’ di più a quelle della terra: la Russia si legherà alla Cina nei suoi programmi spaziali. Sarà costretta ad appoggiarsi sempre di più a Pechino, che ha già  quasi completato la costruzione della prima stazione spaziale orbitante cinese. L’alleanza (la rincorsa?) con la Cina è già in atto in campi come la Difesa o l’energia. Almeno in questo, lo spazio finora era stato diverso. Era il mondo dell’impensabile, il posto in cui la politica, le rivalità che lì si erano mostrate in tutta la loro avidità durante la Guerra fredda, venivano messa da parte. Con la Russia che esce dalla Stazione spaziale internazionale, si avvia a essere una proiezione delle dinamiche terrestri. La fine di un’utopia, il ritorno della competizione. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)