Un Foglio internazionale
La guerra dei Classici
L'ultima contesa? Deleconizzare i testi della letteratura greca
L’ Antichità è diventata un campo di battaglia ideologico. I “nemici”, da Omero a Platone, sono accusati di rafforzare il razzismo e il suprematismo bianco
Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
Ricominciano le battaglie omeriche attorno agli studi classici”, scrive Le Devoir. “Mentre il ministro dell’Insegnamento superiore del Québec continua a riflettere sulla possibilità di eliminare l’iniziazione obbligatoria all’Antichità nel programma di scienze umane a livello collegiale (in Canada, il collège consiste nei due anni di transizione tra fine dell’insegnamento secondario e l’inizio dell’università, ndr), alcuni studiosi di materie classiche, e non i meno noti, chiedono di modificare radicalmente il loro campo per renderlo più inclusivo, equo, diversificato, insomma per “decolonizzarlo”.
Dan-el Padilla Peralta, professore di Storia romana all’Università di Princeton, si fa portavoce in un lungo ritratto che gli è stato dedicato di recente sul New York Times. Vi afferma che bisogna rimuovere la Grecia antica e la Roma antica dal loro piedistallo, “fino a distruggere la disciplina degli studi classici”. Tu quoque mi fili… Il suo collega Ian Morris descrive l’Antichità classica come un “mito di fondazione euroamericana”. Johanna Hanink dell’Università Brown la definisce addirittura come “un prodotto e una complice della supremazia bianca”. Donna Zuckerberg, fondatrice del sito Eidolon, e accessoriamente sorella del fondatore di Facebook, ha aggiunto che la sua disciplina, “implicata nel fascismo e nel colonialismo, continua a essere legata alla supremazia bianca e alla misoginia”. Addio Socrate non c’è più niente che vada bene… Raphaël Doan, anch’egli specialista di Roma, cita queste critiche assassine in un articolo pubblicato il mese scorso sul Figaro (…).
“Poco a poco, l’insegnamento del greco, del latino e della storia antica nelle università americane è dunque ridotto, minimizzato e stravolto in nome di una purezza morale intransigente”, ha sottolineato Doan. Il tema della riforma delle scienze socio-storiche è nell’aria dappertutto. La Federazione delle scienze umane quebecchese ha depositato la scorsa settimana un rapporto di un comitato ad hoc sull’equità, la diversità, l’inclusione e la decolonizzazione. L’insieme delle discipline (e non solo gli studi classici) si ritrovano nel mirino. “Lo studio della tradizione greco-romana non per forza esclude altre cose”, dice Jean-Marc Narbonne, ellenista del Dipartimento di filosofia dell’Università Laval. “Non vedo alcun problema nel dibattere sul rapporto tra questa cultura e altre culture. Solo i movimenti conservatori di destra si richiamano a questa cultura”. Il suo collega Georges Leroux, professore emerito presso l’Università del Québec a Montréal e traduttore della “Repubblica” di Platone (Flammarion), dice che il dibattito attuale sa di minestra riscaldata e fraintende la realtà degli studi classici attuali.
Leroux cita due opere centrali. Anzitutto “Black Athena” (tre volumi, 1987, 1991 e 2006) del professore di Cornell Martin Bernal (1937-2013), che accusa il conservatorismo razzista del Diciannovesimo secolo di aver occultato la parte africana e mediorientale della cultura greca. In seguito, il libro della filosofa americana Martha C. Nussbaum, “Cultivating Humanity. A Classical Defense of Reform in Liberal Education” (1998), che fa leva sulla saggezza e sullo studio degli Antichi, difendendo allo stesso tempo alcune nuove prospettive femministe e multiculturali. “E’ un vecchio dibattito che agita tutta la formazione liberale americana attorno, diciamo così, alla correttezza politica”, spiega Leroux.
“L’idea era di fare in modo che gli studi non fossero dominati da uomini bianchi e di far spazio ad altri autori oltre ai classici occidentali. Non si può che essere a favore di tutto ciò, ossia della diversità. Martha C. Nussbaum ha scritto questo libro, che a mio avviso è un capolavoro, dopo aver visitato centodieci dei migliori collège e università. Ha proposto alcune soluzioni molto semplici al dibattito per aprire il corpus occidentale, far viaggiare i giovani studenti e massimizzare lo studio della filosofia” (…). Il professor Leroux evoca la pesante eredità cattolica, che ha gravato a lungo sugli studi classici nelle facoltà francofone (…). “L’Università Laval è stata incentrata per molto tempo sulla prospettiva tomistica. Il lavoro che tento di portare avanti mostra che ci sono altre letture possibili”, spiega Narbonne. “Favorisco una lettura molto più critica, aperta, per esempio per mostrare che l’Aristotele che mi interessa, l’Artistotele democratico, non interessava molte persone trent’anni fa e più in là ancora. E’ un nuovo Artistotele”.
Se non si tratta propriamente di decolonizzare, si può dire che viene proposto in un certo senso di scristianizzare gli studi classici? “Certo, non dobbiamo restare su una lettura strettamente cristiana”, risponde il professor Narbonne. (Traduzione di Mauro Zanon)