Cummings vs Johnson e i “cadaveri impilati” che sconvolgono il Regno
Potere, soldi, amicizie. Perché l'ex consigliere non ha bisogno di leak per colpire BoJo al cuore
Nello scontro tra Boris Johnson e il suo ex consigliere Dominic Cummings c’è più di un regolamento di conti, più di uno scontro “tra narcisi” in cui c’è soltanto da perdere: c’è l’anima stessa dell’ultima trasformazione della destra britannica, quel Partito conservatore che in questa sua nuova dimensione cosiddetta populista ha conquistato non soltanto la Brexit ma una maggioranza elettorale invero grande. L’anima è quella del potere, del rapporto con gli imprenditori, con i direttori dei giornali, con i soldi, con gli amici. Boris Johnson, il premier, vuole rifarsi l’appartamento a Downing Street e chiede di farselo pagare dai finanziatori dei Tory; detesta i lockdown perché ci vede una perdita economica eccessiva e dice cose orribili – “lasciamo che ci siano pile di cadaveri a migliaia”, riporta il Daily Mail; ferma le inchieste interne al governo che cercano di chiarire com’è possibile che ci siano tanti leak perché sono coinvolti degli amici.
Intanto però Johnson mette in piedi la campagna di vaccinazione “jiu jitsu” che aveva promesso e vuole che siano queste le cose cui badare. I giornalisti gli chiedono: è vero che hai chiamato i direttori di alcuni giornali (Times, Sun e Telegraph) per dire loro che i leak “scandalosi” che ti riguardano sono opera del tuo ex consigliere Cummings? Boris non risponde. I giornalisti chiedono: è vero che hai detto la frase sui cadaveri impilati per strada? Boris nega.
Di là, dall’altra parte, c’è Cummings, che ha una visione del potere differente e che dall’alto del suo scranno da ideologo, verbosissimo come solo lui sa essere, dice: i cardini della nostra rivoluzione populista sono integrità e trasparenza, ed è su questo terreno che si è consumato il tradimento di Johnson. Verso Cummings ma anche e soprattutto verso un’idea di gestione della cosa pubblica, che è quella che l’ideologo ha a cuore, oltre ovviamente aver perso un posto di lavoro in cui questa gestione avrebbe potuto imporla a tutti. Cummings dice di non essere l’autore dei leak, non ha bisogno di questi mezzucci (usa un tono sprezzante che solo chi ha un archivio di screenshot minuzioso può permettersi), se vuole tirare giù l’ex capo lo fa colpendolo al cuore. E lo fa. Gli dice che il suo problema è l’integrità, cioè che si è lasciato corrompere. Si è gettato nel business del populismo per opportunismo, perché altrimenti ora si renderebbe conto che sta svilendo la sua stessa rivoluzione. Questo è il colpo al cuore dell’ex consigliere: il tradimento di un’idea, di un progetto. E poiché Cummings è uno stratega, dice solo una parte di quel che sa, lascia intendere che potrebbe andare avanti, aspetta la mossa di Johnson.
In mezzo, tra i due, ci sono i giornalisti, le loro fonti, i collaboratori del premier, gli amici e naturalmente Carrie Symonds, perché se c’è una cosa su cui molti convergono è: il guaio del premier è la sua fidanzata. I direttori dei giornali non dicono se hanno ricevuto una telefonata dal premier, i giornalisti dicono che la frase sui cadaveri impilati è stata in effetti detta “per rabbia”, ma tant’è: fonti della Bbc lo confermano. Robert Peston, seguitissimo anchorman di Itv, dice che anche una sua fonte conferma e precisa: la mia fonte non è quella del Daily Mail e la mia fonte non è Cummings. Peston dice anche un’altra cosa banale ma importante: il lockdown che Johnson voleva evitare a costo di vedere i cadaveri ammonticchiati a migliaia è stato infine fatto, 24 ore dopo l’oltraggioso commento. In questi incontri naturalmente ci sono alcuni ministri e alcuni consiglieri anche di lunga data, e scattano talmente tanti meccanismi di protezione che stargli dietro è impossibile. Per esempio: venerdì sera si è dimesso Eddie Lister, superconsigliere di Johnson talmente noto che lo chiamano soltanto per nome (come “Dom”, cioè Cummings), che in questi giorni è stato molto chiacchierato per il suo ruolo nel boicottaggio della Superlega calcistica. Dicono che abbia lasciato perché ha molti conflitti di interesse; altri invece sostengono che a Downing Street si è inceppato qualcosa di più di un sistema di amicizie: sembra che alcuni collaboratori del premier avessero dato garanzie a sostegno della Superlega prima dell’annuncio, e che poi invece in un attimo questo sostegno si sia sgretolato.
I rivoli di tale scontro sono tanti, ci vorrebbe un ritratto per ogni comparsa per riuscire a ricostruire tutte le faide (e forse non basterebbe), ma il cuore è naturalmente Johnson contro Cummings e Cummings contro Johnson. I due rappresentano una trasformazione grande del modo di fare politica nel Regno Unito: hanno due storie diverse, si sono trovati a combattere la stessa battaglia. Ma vuoi per paura, vuoi per vendetta, ora che il loro progetto raggiunge una certa maturità e non si pensa più a fare il cambiamento bensì a gestirlo, la distanza risulta enorme. I commentatori, anche di destra, si dividono in: in questa lotta perdiamo tutti; in questa lotta vinciamo tutti. Si sprecano le metafore, in particolare quelle “Alien vs Predator” o King Kong e Godzilla, come a dire: stiamo comunque parlando di qualcosa che ha a che fare con i mostri.