Il nuovo piano per dimenticare Navalny: dichiararlo estremista

I procuratori russi accusano l'avvocato e i suoi di voler destabilizzare la società sotto l'influenza di attori occidentali. Per ora è stata ordinata la sospensione delle loro attività

Micol Flammini

L'etichetta priverebbe la Fondazione anticorruzione e la squadra dell'oppositore in prigione della possibilità di prendere parte alla vita politica, avere delle sedi per la loro attività e ricevere dei finanziamenti. Se opporsi è da estremisti

Mentre si recavano verso il tribunale, gli avvocati della squadra di Alexei Navalny trasportavano delle enormi buste della spesa verdi di dieci chili, con dentro  tutti i documenti sui loro assistiti. Tra quei fascicoli c’erano le prove che nulla di tutto ciò che Navalny, i suoi sostenitori e la sua Fondazione anticorruzione (Fbk)  hanno fatto e organizzato possa essere classificato come attività “estremista”.  La discussione in tribunale è cominciata ieri e potrebbe durare fino a giovedì, per il momento tutte le attività del movimento sono state sospese. I procuratori russi accusano Navalny e i suoi di voler organizzare delle rivolte e  destabilizzare la società sotto l’influenza di attori occidentali. Definire l’intera organizzazione estremista vorrebbe dire estrometterla dalla vita politica per sempre, rendere non soltanto impossibile a qualcuno dei membri della Fbk di candidarsi, ma anche di  avere una sede, ricevere finanziamenti.  Sono molte le difficoltà che i sostenitori di Navalny hanno dovuto affrontare in questi mesi, tanti hanno raccontato di aver subìto intimidazioni, i quartieri generali in giro per la Russia sono stati danneggiati, alcuni oppositori hanno dovuto assistere all’arresto di un parente. La rappresentante della sede di Murmansk ha raccontato che i suoi vicini hanno ricevuto lettere anonime in cui lei veniva accusata di pedofilia. Calunnie e violenze che cercano  di soffocare un   movimento che deve   reinventarsi dopo l’arresto di Navalny.  

 

Il gruppo vanta molti membri coraggiosi, è ben organizzato, ma il rischio, in vista delle elezioni di settembre per rinnovare la Duma, è che non riesca a trasformare la piazza in consenso elettorale. Il Cremlino vuole eliminare ogni rischio ed è pronto a fare in modo che la giustizia russa etichetti tutto il movimento come estremista. Questo vorrebbe dire che verrebbe trattato come un gruppo terroristico e sarebbe un segnale terribile dell’idea che il presidente Putin ha dell’opposizione e del dissenso. La preoccupazione principale da parte del Cremlino è che dopo il suo rientro in Russia Navalny è riuscito in un’impresa insperata: ha messo assieme varie facce dell’opposizione, tutte in una stessa piazza, tutte per un’unica causa: una Russia nuova. E anche dentro all’opposizione sistematica, quella che da anni finge di presentarsi alle elezioni ben sapendo che perderà, c’è chi ha iniziato a guardare con interesse alla squadra dell’uomo che è sopravvissuto a un avvelenamento. Dentro al Partito comunista, per esempio, alcuni membri hanno cominciato  a mostrare una certa curiosità per Navalny e la sua strategia del “voto intelligente”: vota il partito d’opposizione con più possibilità di vincere. Se la Fbk diventasse estremista questi avvicinamenti diventerebbero impensabili, oltre che proibiti.

 

Ieri Alexei Navalny ha fatto causa alla colonia penale in cui è rinchiuso, per tre ragioni. La prima è che non vuole essere considerato un “prigioniero a rischio di fuga”, la seconda riguarda  la decisione delle guardie di trattenere i suoi libri, la terza è per la censura sui giornali: gli arrivano quotidiani con articoli rimossi. Il più forte degli oppositori cerca di trattare il sistema russo come se ci fossero ancora delle realtà fuori dal Cremlino a cui appellarsi, come se fosse un sistema normale, come se si fidasse ancora della giustizia, nonostante tutto. In risposta il Cremlino invece ogni giorno fa un passo verso l’anormalità, verso l’ingiustizia, verso l’autoritarismo, verso un modello di stato in cui l’opposizione, se esiste, è estremista.
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)