I saldi di AstraZeneca

Prestiti, scambi, negoziati. I tentativi di dar via il farmaco dell'azienda anglo-svedese

Micol Flammini

Tra gli europei inizia il baratto dei vaccini e la Danimarca non sa come disfarsi delle sue dosi che non userà più

Roma. Qualche mese fa, quando Joe Biden aveva raggiunto i leader dell’Ue in videoconferenza per il Consiglio europeo in un momento in cui l’Unione lamentava la scarsità di vaccini, la domanda che più veniva spontaneo porgli era: se tanto ci tieni a questa alleanza tra Bruxelles e Washington, perché non cedi le dosi di AstraZeneca che sono in congelatore prima che scadano? Lunedì, un mese dopo il vertice,  gli Stati Uniti  hanno annunciato che sono pronti a condividerle con il resto del mondo perché del vaccino AstraZeneca gli americani non hanno più bisogno. Non avevano mai puntato  sul farmaco anglo-svedese, come invece aveva fatto l’Ue, che pure, rispetto a un mese fa è molto cambiata nel suo rapporto con l’azienda.  Bruxelles ha deciso anche di farle causa, forte del fatto che presto delle sue dosi potrà iniziare a fare a meno.  Anche perché AstraZeneca è molto indietro con le forniture, mentre a fine giugno avrebbe dovuto consegnare 300 milioni di dosi, 100 milioni nel primo trimestre, a oggi i farmaci distribuiti sono poco più di 30 milioni. In tutta l’Ue c’è un senso di insofferenza e c’è anche chi non sa come disfarsi dei vaccini già acquistati.

 

Era il 14 aprile quando Tanja Erichsen, capo dell’Agenzia del farmaco danese, annunciava che il suo paese avrebbe sospeso per sempre AstraZeneca per i rari eventi tromboembolici che si erano verificati. La Erichsen svenne in diretta, e fu chiaro quanto era stato difficile prendere la decisione per la Danimarca, e quanto i tenutari della Salute in giro per il mondo fossero incredibilmente sotto pressione. Copenaghen aveva giustificato l’abbandono del farmaco spiegando di poterselo permettere: “Se fossimo nel mezzo di una terza ondata e se il nostro sistema sanitario fosse sotto pressione e non fossimo così avanti nella vaccinazione – aveva detto il direttore dell’Autorità sanitaria danese – non esiterei ad andare avanti con il vaccino di AstraZeneca”. Per il calcolo  danese, vista la situazione epidemiologica, i benefici non sarebbero stati superiori ai rischi e con duecentomila dosi di prodotto rinchiuso nei frigoriferi e 3,5  milioni che dovrebbero arrivare nei prossimi mesi, Copenaghen adesso  non sa cosa farsene. Al governo è venuto così in mente che avrebbe potuto barattarle, scambiarle, prestarle. La  Danimarca avrebbe voluto  cedere le sue dosi di AstraZeneca e ricevere in cambio Pfizer o Moderna, magari non una dose in cambio di una dose, si sa che i secondi sono più costosi. Il problema è che non sono molti i paesi europei pronti a un baratto del genere e Copenaghen, per quanto abbia organizzato una campagna di vaccinazione molto efficiente e abbia subito puntato più sui vaccini a mRna messaggero, ora inizia ad avere bisogno di dosi per compensare quelle di AstraZeneca che non utilizzerà e anche le 8,2 milioni di dosi di Johnson & Johnson che l’Agenzia del farmaco nazionale ancora non approva: il 20,9 per cento dei danesi ha ricevuto una prima dose e il 9,9 entrambe.

 

Visto che gli scambi risultano complicati – è complicato trovare qualcuno disposto ad accettarli –  il ministero degli Esteri ha annunciato di aver prestato 55 mila dosi di AstraZeneca allo Schleswig-Holstein, uno dei Land settentrionali della Germania. La Danimarca si aspetta che le dosi vengano restituite, ma non si sa ancora secondo quali dettagli. Nel frattempo però, nella fretta di liberarsi del farmaco ormai ritenuto più un problema che una soluzione, c’è una forte pressione da parte dei partiti di opposizione, soprattutto di destra, che per non sprecare le dosi hanno chiesto al governo di offrirlo a dei volontari, soltanto a chi vorrà, ma l’importante è non perdere tempo e vaccini. Tanto più che in Danimarca dal 21 aprile ci si muove con il “coronapas”, il passaporto interno che rappresenta la chiave segreta per riprendere tutte le attività  e i danesi non hanno più voglia di aspettare.
Anche la Norvegia si trova in una situazione simile, vuole sbarazzarsi delle dosi di AstraZeneca e per il momento ha deciso di prestarle alla Svezia (duecentomila) e all’Islanda (sedicimila). Si trova in una situazione un po’ diversa rispetto alla Danimarca perché a Oslo la sospensione del farmaco non è ancora definitiva. E’ stata annunciata l’11 marzo, ma se si tratta di un blocco decisivo verrà stabilito il 10 maggio. La Norvegia ha detto di essere in debito con la Svezia, perché ha fatto da intermediario con Bruxelles per consentirle di partecipare all’ordine dell’Ue, ma se il blocco verrà tolto, allora la Svezia dovrà restituire il farmaco avuto in prestito. In caso contrario, le 3,3 milioni di dosi ordinate da Oslo verranno redistribuite tra gli europei.
 
La storia di AstraZeneca si avvia verso un finale molto diverso da quello che aveva immaginato l’azienda partecipando alla ricerca per un vaccino che consentisse di uscire dalla pandemia. Doveva essere il farmaco promettente, quello su cui molti stati europei avevano scommesso, ma più si va avanti e più è visto come il di più, il vaccino di troppo, che arriverà, ma con un ritardo inaccettabile e di cui tutti sperano di non avere più bisogno.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)