L'insostenibile leggerezza di Blinken, il capo della diplomazia americana del dopo Trump
Con i capelli giusti e molta affabilità, il segretario di Stato americano cede dall'Afghanistan ai negoziati nucleari con l'Iran
Donald Trump diceva cose tremende in politica estera nello spazio di un tweet e se ne accorgevano tutti. Il segretario di Stato dell’Amministrazione Biden, Antony Blinken, dice anche lui cose tremende di politica estera ma lo fa con educazione e con comunicati melliflui e per ora non c’è lo stesso effetto drammatico. Blinken ha un’esperienza enorme in diplomazia e ha una gioventù trascorsa a Parigi, è il prototipo perfetto di esperto a metà tra politica e competenza del mondo che viene a salvare il dipartimento di Stato americano dopo il regno dei bruti. E però fa delle uscite che suonano come una parodia.
Una settimana fa ha detto che gli Stati Uniti useranno la loro assistenza civile ed economica “per sostenere la causa di una pace giusta e duratura in Afghanistan e di un futuro più luminoso per il popolo afghano”. Come se dopo vent’anni di guerra i talebani fossero pronti a convertirsi alla pace e ai diritti umani in cambio di un buon pacchetto di assistenza per il paese. E’ una cosa che non può funzionare. Se l’avesse proposta Trump nel suo stile – “nessuno capisce meglio di me l’Afghanistan credetemi” – e con quei capelli gli sarebbe andata male (fatta eccezione per la corte di adulatori che approvava qualsiasi cosa dicesse).
Due giorni fa Blinken ha detto che i guerriglieri di Ansar Allah in Yemen non dovrebbero cercare la vittoria militare perché ci saranno conseguenze catastrofiche sul piano umanitario. E’ un appello staccato dalla realtà, soprattutto considerato cosa sta succedendo in questi giorni. Gli Ansar Allah combattono da sei anni per prendere il controllo totale del paese e ora sono alle porte di una città, Marib, che è piazzata in una posizione strategica. Se prendono quella, gli Ansar Allah (detti anche Houthi) vincono la guerra. Il problema è che Marib da molto tempo è la capitale degli sfollati e di tutti quelli che scappano dagli Ansar Allah, se gli aggressori vincono sarà un disastro – ondate di sfollati che riprendono a fuggire e crisi umanitaria ulteriore in un paese che è già in crisi umanitaria permanente. I talebani in Afghanistan e gli Ansar Allah in Yemen non si fermeranno perché stanno vincendo, non credono “al futuro più luminoso” e non sono frenati dalle catastrofi umanitarie.
Due giorni fa Associated Press ha scoperto che i negoziatori di Blinken nelle trattative indirette a Vienna con l’Iran sul nucleare hanno offerto di annullare non soltanto le sanzioni che colpiscono la ricerca atomica, ma anche molte altre sanzioni che invece riguardano i diritti umani, il terrorismo e la ricerca militare sui missili. Pur di far tornare gli iraniani al patto nucleare del 2015 gli americani hanno detto di essere pronti ad annullare anche “sanzioni non congrue” con l’accordo, quindi non soltanto quelle previste nell’accordo (gli israeliani hanno appena spedito il capo del Mossad, Yossi Cohen, a Washington a parlamentare). Così, mentre il suo diretto superiore, Biden, usa toni molto duri in politica estera – dice che il presidente russo Putin “è un killer” e riconosce il genocidio armeno in faccia al presidente turco Erdogan – Blinken è lasciato a cavarsela con gentilezza da bazaar e unguenti nel settore medio oriente e Afghanistan. Del resto lì i democratici non vedono quasi più nulla d’interessante e in questo sono uguali ai trumpiani che li hanno preceduti. La priorità è la Cina e poi in subordine c’è la Russia. Blinken se la caverà con le sue dichiarazioni leggerissime.