Contro i raid in mare

Il piano di governo e militari contro le aggressioni libiche. In attesa di un accordo politico

Daniele Raineri

Due abbordaggi in quattro giorni a largo della Libia. Il precedente di settembre, con il sequestro dei pescatori italiani da parte di Haftar, ha cambiato le regole. È chiaro che non si tratta più soltanto di contese in una zona di pesca. Ora c'è un dispositivo militare contro gli abbordaggi libici

Fonti qualificate del governo spiegano che le due aggressioni in quattro giorni da parte di motovedette libiche contro pescherecci italiani molto al largo della Libia sarebbero finite entrambe con due sequestri se non fosse intervenuta la Marina militare. E questi interventi fanno parte di una nuova politica dell’Italia, che non vuole farsi più cogliere impreparata e passiva dalle azioni ostili contro i pescherecci. Lunedì 3 maggio ci hanno provato le forze del generale Khalifa Haftar e giovedì 6 maggio ci ha provato la Guardia costiera di Misurata, città stato alleata con Tripoli. In entrambi i casi i libici hanno sparato in mare aperto, hanno colpito le imbarcazioni italiane e poi le hanno abbordate per salire. Di solito queste aggressioni finivano con la confisca di tutto il pescato e qualche ora di fermo ed è una cosa che succede fin dai tempi del colonnello Gheddafi, ma a settembre gli uomini di Haftar hanno creato un precedente pericoloso: hanno catturato due equipaggi, li hanno costretti a fare rotta verso Bengasi e poi li hanno tenuti in prigione per quasi quattro mesi senza accuse formali.

 

Quel sequestro ha cambiato le regole perché a tutti fu chiaro che non si trattava più soltanto di contese in una zona di pesca, i pescherecci erano diventati un pretesto. Erano il bersaglio facile di un ricatto internazionale. E infatti il 17 dicembre l’allora premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dovettero volare a Bengasi al cospetto del generale Khalifa Haftar per rabbonirlo in pubblico e per liberare i pescatori. 

 

 

Da allora si è deciso di prevenire questo tipo di situazione, con l’approvazione del presidente del Consiglio Mario Draghi. Non vuol dire – sottolineano – che le navi della Marina militare fanno da scorta ai pescherecci italiani mentre lavorano nel Mediterraneo, perché il governo si tiene fuori dalla disputa e anzi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ieri ha di nuovo detto che i pescherecci devono tenersi lontani dalle zone a rischio. Vuol dire però che è stato messo in piedi un dispositivo militare che tra le altre cose sorveglia anche questa situazione e si tiene pronto a intervenire in caso di pericolo. Lunedì quando gli uomini di Haftar hanno attaccato è arrivata sul posto la fregata Alpino. Giovedì quando la Guardia costiera di Misurata è salita a bordo del peschereccio italiano si è mossa la fregata Libeccio. Entrambe le navi hanno a bordo almeno un elicottero che secondo informazioni del Foglio porta una squadra di forze speciali e può arrivare sopra le motovedette libiche molto più rapidamente delle fregate. 


Gli interventi della Marina hanno come effetto immediato quello di trasformare gli abbordaggi in mare senza testimoni in uno scambio di comunicazioni ufficiali tra i comandi libici e il comando italiano. Questo, assieme alla presenza dell’elicottero con gli incursori, interrompe le azioni ostili, facilita il ritorno a relazioni civili e permette ai pescherecci italiani di sganciarsi dalle motovedette libiche. Gli esperti notano che nell’area c’è spesso in volo anche un aereo da ricognizione italiano P-72 e le fonti qualificate confermano che fa parte del dispositivo per evitare i sequestri: si occupa non soltanto di quello ma anche di quello. Giovedì pomeriggio, secondo l’agenzia Ansa, è stato l’equipaggio del P-72 a vedere la motovedetta libica sparare contro i pescatori italiani.


Quando si dice Guardia costiera di Tripoli in realtà si parla di quattro guardie costiere diverse, ciascuna con il suo tratto di costa da sorvegliare. E poi ci sono gli uomini di Haftar nell’est, vicino a Bengasi. I militari di Tripoli e delle altre città della regione però in teoria dovrebbero comportarsi da alleati con l’Italia. Se la Guardia costiera di Misurata avesse catturato un equipaggio italiano, lo avrebbe poi trascinato in porto e si sarebbe creata una situazione imbarazzante: a un paio di chilometri dai moli c’è dal 2016 un ospedale gestito da militari italiani che ha curato migliaia di locali e molto probabilmente ha curato anche i libici della Guardia costiera. Lo stesso varrebbe se succedesse a Tripoli, dove alcune delle motovedette sono state fornite proprio dall’Italia. 

 

I pescherecci italiani spesso lavorano in quella che il colonnello Gheddafi considerava una zona di protezione dalla pesca destinata al ripopolamento e che però non è mai stata riconosciuta dall’Italia. I libici al momento non avrebbero nemmeno le capacità tecniche per pescare in quell’area e in mancanza di un accordo di spartizione o di condivisione delle risorse si va avanti così da anni tra periodi tranquilli e azioni ostili improvvise. Se ci fosse un negoziato serio la situazione si potrebbe ricomporre. 
Daniele Raineri
 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)