(foto Unsplash)

Il caso

Dipendenti in fuga da Basecamp

Greta Privitera

Qui da noi non si discute di politica, dice il capo di un importante società di software con sede a Chicago. Non è finita bene

Bart avrebbe molto apprezzato quella lista di cognomi bizzarri, l’avrebbe usata per uno dei suoi classici scherzi telefonici a Boe, il barista dei Simpson che ogni volta al telefono veniva ingannato dal ragazzino: con la scusa di un cognome, gli faceva dire cose irripetibili. Invece, a Basecamp, una importante società di software con sede a Chicago, una lista è diventata la miccia di uno scontro interno durissimo, che ha fatto dare le dimissioni a venti persone, un terzo dei dipendenti. Questo scontro racconta  bene l’America divisa tra la denuncia di un razzismo endemico e una wokeness che a tratti soffoca il buon senso. 

La questione nasce dai cognomi insoliti di alcuni clienti che negli ultimi dieci anni sono stati presi in giro dai dipendenti della società. Il problema è che tra questi cognomi ce ne sono di asiatici e afroamericani. Tutti a Basecamp sapevano dell’esistenza di questa lista, anche i due fondatori della società, Jason Fried e David Heinemeier Hansson, che però non erano mai intervenuti. Negli ultimi tempi, i dipendenti avevano condannato l’esistenza di quell’inventario di nomi che consideravano di cattivo gusto e che qualcuno ha definito pericoloso “perché rischia di gettare le basi per una violenza di matrice razzista”, evocando addirittura il “genocidio”. 
La scorsa settimana, Fried ha deciso di frenare le polemiche e ha pubblicato un post per i dipendenti in cui faceva sapere che da quel momento nessuno più poteva discutere di temi sociali e politici nei sistemi di messaggistica interni all’azienda. Il fondatore di Basecamp si è giustificato dicendo che “il clima sociale e politico di oggi è pericoloso” e che le discussioni su questi argomenti “non sono salutari e non ci stanno facendo del bene”. Il post è stato percepito più come un editto che come una nuova policy aziendale. Fried ha allora convocato una riunione su Zoom e davanti ai dipendenti ha chiesto scusa per il modo in cui erano state introdotte le nuove regole, ma non per il loro contenuto. 

 

Dopo il suo intervento si è scatenato l’inferno. Le parole che hanno fatto infuriare la frangia più liberal di Basecamp sono state quelle di Ryan Singer, un dirigente entrato a far parte dell’azienda nel 2003, quando la compagnia era conosciuta come 37Signals ed era composta soltanto da quattro persone. Secondo alcuni dipendenti, Singer nel 2016, in un forum interno all’azienda, avrebbe elogiato il sito web di destra Breitbart per come stava seguendo le elezioni americane. Poi, qualche settimana fa ha pubblicato un post in cui diceva che collegare la famosa lista dei cognomi al genocidio era assurdo. Il colpo finale se l’è dato durante la riunione plenaria: “Non sono assolutamente d’accordo sul fatto che viviamo in una cultura suprematista bianca”. E ha aggiunto: “Molto spesso, se esprimi un’opinione diversa, vieni chiamato nazista. Ma in realtà, affermare che qualcuno deve avere un certo punto di vista per il colore della sua pelle è razzista”.

Ad arrabbiarsi molto è stato un dipendente afroamericano, essenzialmente per due motivi: perché Fried non ha condannato la frase di Singer sul suprematismo bianco e perché alla fine lo ha anche ringraziato per il suo intervento. Il dialogo che ne è seguito è andato più o meno così. Dipendente afroamericano: “Hai detto che il suprematismo bianco non esiste. Questa è una bugia”. Singer: “Ho detto che abbiamo diversi modi di inquadrare la cosa. Se vuoi discutere se esiste da qualche parte, allora ti dico di sì. Ma non qui in questa azienda, non con le persone con cui lavoriamo”. Altro dipendente: “Esiste ora, in questo momento. Questa è una fottuta stronzata. Ti stai comportando in modo ridicolo.

In molti hanno chiesto ai due fondatori di prendere una posizione. Mezz’ora dopo la fine della riunione, Singer è stato sospeso in attesa dell’esito di un’indagine interna. Ma nel weekend è stato lui a dare le dimissioni, dicendo che si era solo “opposto alla dichiarazione di un collega secondo cui viviamo in una cultura della supremazia bianca. Il suprematismo bianco esiste e la storia del razzismo americano presenta ancora problemi terribili, ma non sono d’accordo sul fatto che dovremmo etichettare la nostra intera cultura con questa ideologia”. Fried stesso, alla fine, ha ceduto ai dipendenti: “Denuncio incondizionatamente la supremazia bianca”.

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