attacco a scuola

A Kazan un ragazzo uccide nove persone. Il Cremlino chiede più controllo su armi e social

L'ossessione Columbine ha portato a tracciare un parallelismo con la sparatoria a Kerch del 2018, quando uno studente uccise diciannove compagni e si suicidò

Micol Flammini

La mascherina con la scritta Dio, il fucile acquistato a fine aprile, l'annuncio su Telegram e gli studenti che per salvarsi si gettano dalle finestre. Cosa è successo nella scuola russa nella repubblica del Tatarstan

In Russia il controllo delle armi è una questione seria e rigorosa, ma quando la notizia della sparatoria nella scuola di Kazan ha iniziato a farsi sempre più allarmante, tanto da interrompere il dibattito e le celebrazioni dopo la vittoria a porta vuota di Vladimir Putin a hockey, il commento più diffuso sui social era: eccola, la nostra Columbine. E non era un commento lanciato a caso, un parallelismo tracciato di traverso  tra la terribile strage nella scuola americana e la tragedia di Kazan. Era un’osservazione che nasceva da una precedente strage in una scuola, a Kerch, nel 2018, e che il presidente russo definì una conseguenza della globalizzazione. Una conseguenza del massacro nella scuola americana di  Columbine. E non aveva tutti i torti: in Russia si era formato un gruppo  ossessionato da quella strage.

 
 
Martedì mattina, un ragazzo armato con un fucile è entrato nella scuola numero 175 di Kazan, nella repubblica russa del Tatarstan.  Ha prima ferito una guardia che ha cercato di fermarlo, è andato avanti e prima di iniziare a sparare sugli studenti, secondo le ricostruzioni, ha lanciato quattro bombe nel corridoio del primo piano. Poi si è spostato ai piani successivi e ha aperto il fuoco sui ragazzi e sugli insegnanti. Il bilancio delle vittime è arrivato a nove, tra ragazzi e personale: la scuola, secondo il ministero dell’Istruzione locale, conta 1.049 studenti e 57 dipendenti. Due ragazzi sono morti nel tentativo di scappare e dalle immagini si vedono corpi che per paura di essere colpiti si lanciano fuori dalle finestre per cercare una vita di fuga. Rustam Minnikhanov, governatore del Tatarstan, è arrivato subito davanti alla scuola, ha rilasciato una dichiarazione e ha detto che c’erano anche diversi feriti, diciotto studenti e tre adulti in ospedale, quattro in condizioni critiche. E’ stato lui ad annunciare l’arresto del ragazzo, Ilnaz Galyaviyev, un ex allievo di diciannove anni. Nessun complice, solo lui, che il quattro maggio era andato a comprare le munizioni e aveva un’arma, come ha detto il governatore, “regolarmente registrata”. Aveva  ricevuto una licenza per le armi pochi giorni prima delle vacanze di maggio, il 28 aprile. 

 

L’attacco alla scuola numero 175 –  in Russia le scuole si numerano – non ha molti precedenti, è un fenomeno raro, anche per questo all’inizio la polizia aveva lasciato intendere che potesse trattarsi di terrorismo nel Tatarstan a maggioranza islamica, ma è stato il ragazzo stesso a eliminare i sospetti. Aveva addosso una mascherina con la scritta Dio, Bog, e non Allah. Aveva aperto da poco anche un canale Telegram con lo stesso nome, in cui aveva raccontato di essersi sentito improvvisamente investito di un potere divino, due mesi fa aveva scoperto di essere Dio, e aveva annunciato le sue intenzioni già sui social. 

 

Sono due i temi sui quali sono intervenute le autorità dopo la tragedia. Il presidente Putin ha fatto le condoglianze alle famiglie delle vittime, la sua cerchia ha smesso di parlare dei suoi prodigi a hockey e ha iniziato a concentrarsi su quanto accaduto a Kazan e diversi funzionari sono andati. Il capo del Cremlino ha chiesto subito leggi più restrittive per la diffusione delle armi, che già in Russia non sono così accessibili.  Altri funzionari hanno invece riproposto l’idea di esercitare un maggiore controllo sui social. Se qualcuno si fosse accorto delle minacce del ragazzo, la strage si sarebbe potuta evitare. Ma il tema in Russia si fa immediatamente più delicato, perché internet e le piattaforme sono spesso il luogo del dissenso, dove si organizza l’opposizione. Runet, l’internet sovrano russo sul modello cinese, è il sogno del presidente, in sogno troppo costoso che non può permettersi. La battaglia contro Telegram è iniziata qualche anno fa, ma non per questioni di sicurezza, il Cremlino voleva i dati degli utenti e l’app si è rifiutata. Twitter ultimamente viene rallentato. Un maggiore controllo avrebbe potuto fermare il ragazzo di Kazan, ma c’è un difficile equilibrio da mantenere quando in Russia si parla di controllo. 

 

Le autorità negli anni hanno detto di aver sventato numerosi attacchi contro le scuole, lo scorso anno l’Fsb aveva raccontato di aver arrestato due giovani che pianificavano di attaccare un istituto a Saratov. Nel 2019 a Blagoveshchensk, una cittadina al confine con la Cina, uno studente è stato ucciso e tre sono stati feriti da un compagno che si è suicidato. Ma è  all’episodio del 2018, quando un liceale uccise 19 persone a Kerch, in Crimea,  poi si suicidò e in quel caso Putin diede la colpa al cattivo esempio che arrivava dagli Stati Uniti, che tutti hanno pensato, mentre davanti all’istituto i ragazzi sopravvissuti lasciavano fiori e peluche sotto la scritta “In lutto” e tracciavano il parallelismo tra Kerch e Kazan.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)