coalizione vs realtà
Il futuro governo israeliano per formarsi cerca il sostegno degli arabi
La lista dei ministri, le richieste e un punto controverso che già ieri è stato complicato rispettare per la coalizione di Lapid: non parlare di questioni ideologiche per il primo anno
Il nuovo esecutivo in Israele ha bisogno dell’appoggio dei partiti arabi. Le trattative ieri sono andate avanti nonostante gli scontri a Gerusalemme est e nonostante i razzi di Hamas. Le linee rosse di Abbas e le parole di Bennett, che vuole essere premier
Roma. Le trattative per la formazione di un governo di unità nazionale in Israele sono andate avanti anche ieri e la nascita del nuovo esecutivo ora dipende soprattutto dal sostegno dei partiti arabi. Nonostante gli scontri tra la polizia israeliana e palestinesi, nonostante gli ultimatum i razzi lanciati da Hamas su Gerusalemme che hanno interrotto i lavori della Knesset, la “coalizione del cambiamento” messa su da Yair Lapid ieri ha continuato a parlare di ministri e a dividersi cariche, e lo ha fatto puntando sull’appoggio degli arabi. Anche se una delle riunioni più attese è saltata senza troppe spiegazioni: Lapid e Naftali Bennett, leader del partito di destra Yamina, avrebbero dovuto incontrare insieme Mansour Abbas, capo della fazione islamista Ra’am. Bennett e Abbas si erano già visti domenica e alcuni membri di Yamina si erano dimostrati così fiduciosi da comunicare alla stampa che il governo potrebbe giurare già la prossima settimana. Abbas si era presentato all’incontro con richieste economiche per la comunità araba, e quando sono scoppiati gli scontri a Gerusalemme tra i palestinesi e la polizia si è limitato a condannare le violenze. Si è mantenuto in equilibrio, come un politico pratico e spregiudicato che vuole portare il suo partito più lontano possibile e che sa che dai suoi quattro seggi dipende non soltanto la formazione del governo – Ra’am non ha ancora deciso se voterà a favore e chiederà di entrare nell’esecutivo o se si asterrà – ma anche la sua sopravvivenza, quindi non conviene forzare ora.
Nel fine settimana i partiti della coalizione hanno cercato di lavorare a un programma comune, e gli scontri non li hanno fermati. Un punto del programma che consentirebbe di far sopravvivere questa lista di ossimori è: evitare le questioni ideologiche, quindi religiose, per il primo anno. E già ieri rimanere fedeli a questo punto è stato complicato. La Lista comune, l’altra formazione di partiti arabi che sostiene Lapid e che aveva iniziato a fare un passo indietro con l’arrivo in coalizione di Bennett, ha rimproverato Lapid per un tweet in cui diceva che chiunque faccia del male al popolo di Israele pagherà un prezzo alto. Alcuni membri della Lista comune hanno detto che Israele non permette la libertà di culto e che c’è un intero popolo sotto occupazione e Lapid ieri ha corretto di molto la sua strategia dicendo che c’è bisogno di un governo che pensi “ad ampi accordi per il bene di tutti”. Abbas, che rispetto alla Lista comune è pronto a tutto pur di influenzare la politica, non ha voluto esagerare ma ha detto che al Aqsa – la moschea in cui si sono verificati alcuni degli scontri tra la polizia israeliana e i palestinesi – è una linea rossa e ha definito “l’aggressione al luogo sacro inaccettabile”. Il Jerusalem Post in un editoriale si è domandato cosa sarebbe accaduto se questi scontri si fossero verificati con un nuovo governo tanto dipendente da Abbas già insediato e ha avvertito: “La realtà è più forte di qualsiasi accordo di coalizione”.
“Chiunque metta cittadini israeliani in un rifugio sappia che se ne pentirà”, ha scritto Bennett. Ma con una coalizione tanto ampia le linee rosse che ciascun partito è pronto a mettere agli altri rischiano di portare o allo scontro o all’immobilismo. E il 2 giugno c’è un altro voto che senza unità politica sarà complicato: quello per il presidente.
Dalle piazze ai palazzi