coalizione vs realtà

Il futuro governo israeliano per formarsi cerca il sostegno degli arabi

La lista dei ministri, le richieste e un punto controverso che già ieri è stato complicato rispettare per la coalizione di Lapid: non parlare di questioni ideologiche per il primo anno

Micol Flammini

Il nuovo esecutivo in Israele ha bisogno dell’appoggio dei partiti arabi. Le trattative ieri sono andate avanti nonostante gli scontri a Gerusalemme est e nonostante i razzi di Hamas. Le linee rosse di Abbas e le parole di Bennett, che vuole essere premier

Roma. Le trattative per la formazione di un governo di unità nazionale in Israele  sono andate avanti anche ieri e la nascita del nuovo esecutivo ora dipende soprattutto dal sostegno dei partiti arabi. Nonostante gli scontri tra la polizia israeliana e palestinesi, nonostante gli ultimatum i razzi  lanciati da Hamas su Gerusalemme che hanno interrotto i lavori della  Knesset, la “coalizione del cambiamento” messa su da Yair Lapid  ieri ha continuato a parlare di ministri e a dividersi cariche, e lo ha fatto puntando  sull’appoggio degli arabi. Anche se una   delle riunioni più attese è saltata senza troppe spiegazioni: Lapid e Naftali Bennett, leader del partito di destra Yamina, avrebbero dovuto incontrare insieme  Mansour Abbas, capo della fazione islamista Ra’am. Bennett e Abbas si erano già visti domenica e alcuni membri di Yamina   si erano dimostrati così  fiduciosi da comunicare alla stampa  che il  governo potrebbe giurare già la prossima settimana. Abbas si era presentato all’incontro con  richieste economiche per la comunità araba,   e quando sono   scoppiati gli scontri a Gerusalemme tra i palestinesi e la polizia  si è limitato a condannare   le violenze. Si è mantenuto  in equilibrio, come un politico pratico e spregiudicato che vuole portare il suo partito più lontano possibile e che sa che dai suoi quattro seggi dipende non soltanto la formazione del governo – Ra’am non ha ancora deciso se voterà a favore e chiederà di entrare nell’esecutivo  o se si asterrà – ma anche la sua sopravvivenza, quindi non conviene forzare ora. 

 

Nel fine settimana  i partiti della coalizione hanno cercato di lavorare a un programma comune, e gli scontri non li hanno fermati. Un punto del  programma che consentirebbe di far sopravvivere questa lista di ossimori è: evitare le questioni ideologiche, quindi religiose, per il primo anno. E già ieri rimanere fedeli a questo  punto è stato complicato. La Lista comune, l’altra formazione di partiti arabi che sostiene Lapid e che  aveva  iniziato a fare un passo indietro con l’arrivo in coalizione di Bennett, ha rimproverato Lapid per un tweet in cui diceva che chiunque faccia  del male al popolo di Israele pagherà un prezzo  alto. Alcuni membri della Lista comune  hanno detto che Israele non permette la libertà di culto e che c’è un intero popolo sotto occupazione e Lapid ieri ha corretto di molto la sua strategia dicendo che c’è bisogno di un governo che pensi “ad ampi accordi per il bene di tutti”. Abbas,  che rispetto alla Lista comune  è pronto a tutto pur di influenzare la politica, non ha voluto esagerare ma ha detto che al Aqsa – la moschea in cui si sono verificati alcuni degli scontri tra la polizia israeliana e i palestinesi – è una linea rossa e ha definito “l’aggressione al luogo sacro inaccettabile”. Il Jerusalem Post in un editoriale si è domandato cosa sarebbe accaduto se questi scontri si fossero verificati con un nuovo governo  tanto dipendente da Abbas già insediato e ha avvertito: “La realtà è più forte di qualsiasi accordo di coalizione”.

 

“Chiunque metta cittadini israeliani in un rifugio sappia che se ne pentirà”, ha scritto Bennett. Ma con una coalizione tanto ampia le linee rosse che ciascun partito è pronto a mettere agli altri rischiano di portare o allo scontro o all’immobilismo. E il 2 giugno c’è un altro voto che senza unità politica sarà  complicato: quello per il presidente.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)