Un Foglio internazionale
La Cina non è un modello
Niall Ferguson mette in guardia l’occidente dal seguire ed emulare Pechino
Questa è un’osmosi nella guerra. Chiamatela come volete, ma i vincitori tendono sempre ad assumere la forma dei vinti”, dice uno degli ufficiali del libro “Il nudo e il morto” di Norman Mailer, che aggiunge: “Potremmo diventare fascisti dopo avere vinto la guerra”. Così inizia il lungo articolo dello storico Niall Ferguson sullo Spectator. “Gli americani sono stati a lungo ossessionati dall’idea dell’osmosi della guerra. Durante la prima Guerra fredda gli opinionisti conservatori credevano che una sorta di convergenza fosse in atto, e che gli Stati Uniti potessero finire per assomigliare – sotto alcuni punti di vista – all’antagonista sovietico. George Orwell aveva profetizzato che tutte le superpotenze nucleari sarebbero diventate degli stati totalitari, e Dwight Eisenhower temeva il potere del ‘complesso militare-industriale’. Anche la sinistra aveva sposato questa tesi che, inutile dirlo, si è rivelata molto sbagliata. Le differenze tra il sistema economico sovietico e americano sono solamente cresciute con il tempo, sia in termini di organizzazione industriale che in termini di risultati. Non si è realizzato nemmeno l’incubo di Orwell: gli Stati Uniti e i suoi alleati non sono degenerati nell’Oceania, lo stato totalitario indistinguibile dall’Eurasia e dall’Estasia. Quindi ti aspetteresti che, dopo l’avvento della seconda Guerra fredda, i leader americani facciano il possibile per distinguere il loro sistema – costruito attorno al libero mercato, la libertà di espressione, il suffragio universale e la separazione dei poteri – da quello della Repubblica popolare cinese – costruito attorno al potere illimitato e incontestabile del partito su ogni aspetto della vita. Vero, il segretario di stato americano Antony Blinken ha criticato l’approccio di Pechino nel suo incontro con il suo omologo cinese Yang Jiechi, ma finora non ha agito di conseguenza.
Nessuno ha il coraggio di dire che l’aumento della spesa pubblica proposto da Biden ha un retrogusto cinese, sia nella concezione che nelle dimensioni. Il prezzo complessivo della spesa è di poco inferiore ai sei trilioni di dollari, che equivalgono più o meno a un quarto del pil americano e che rischiano di surriscaldare un’economia già in fase di ripresa, oltre ad aumentare permanentemente il peso del governo federale nell’economia. Pensate anche al lockdown. Molti paesi occidentali hanno erroneamente concluso l’anno scorso che i lockdown sono il modo migliore per gestire il Covid, senza capire che nessuna società libera può tollerare delle restrizioni così draconiane. Neil Ferguson, l’epidemiologo dell’Imperial College che ha contribuito alla risposta del governo britannico, è stato piuttosto chiaro sulla sua fonte di ispirazione. ‘Se la Cina non lo avesse fatto prima, il 2020 sarebbe stato molto diverso’, ha ammesso Ferguson in un’intervista a dicembre. ‘Si tratta di uno stato monopartitico comunista – avevamo detto all’ epoca. Non possiamo farlo in Europa. E poi l’Italia l’ha fatto. E abbiamo capito che potevamo farlo anche noi’. Vorrei dire al mio quasi omonimo che, in preda al panico che ci ha avvolto a marzo dello scorso anno, ci siamo precipitati a imitare la Cina sbagliata. Avremmo dovuto adottare molto prima il modello della Repubblica della Cina (Taiwan), che per contenere il virus ha eseguito tamponi di massa, tracciamento e isolamento dei positivi (…).
Chiunque in occidente vuole riprendere i contatti con Pechino non deve sottovalutare il potere di Wang Huning, un membro del Politburo e consigliere di fiducia di Xi Jinping. Nell’agosto 1988, Wang ha trascorso sei mesi negli Stati Uniti, visitando vari stati e università, e ha scritto un diario di quei mesi che è una critica della cultura, democrazia e del capitalismo americano. Il saggio del politologo cinese Jiang Shi-gong è anche molto utile per capire la visione cinese dell’America. Secondo lui, l’egemonia dell’impero anglo-americano rischia di collassare a causa di tre problemi irrisolti: ‘le diseguaglianze sempre più grandi causate dal liberalismo economico… un sistema di governo inefficace causato dal liberalismo politico e la decadenza e il nichilismo causato dal liberalismo culturale’”. Secondo Ferguson, la Cina non vuole creare un impero eurasiatico alternativo, ma “vuole diventare il cuore dell’impero globale”.
La differenza chiave tra l’occidente e la Cina è che la strategia di Xi Jinping e dei suoi consiglieri consiste nel rifiuto di imitare il modello occidentale. Allo stesso tempo, l’élite politica cinese è sempre più convinta che l’occidente sia decadente o destinato al declino. Potrebbero avere ragione? Molti commentatori conservatori sono sempre più pessimisti dinanzi alla sottomissione delle università americane al ‘wokeism’ – un’ideologia illiberale che ha avuto origine nelle università d’élite ma che è dominante ovunque, dalle scuole private della California alla Cia.
“Io non sono così pessimista – conclude Ferguson – perché credo che le idee woke siano molto impopolari con l’elettorato e credo che gli slogan del partito democratico sull’‘antirazzismo’, la ‘diversità, equità e inclusione’ gli si ritorceranno contro quando gli elettori capiranno cosa significano in pratica. Molte istituzioni occidentali – dalle università ai giornali, agli editori e le compagnie tecnologiche – praticano un totalitarismo dal basso. Non serve avere un partito comunista al potere per censurare l’internet: basta lasciarlo fare alle compagnie tecnologiche, che hanno il potere di cancellare il presidente degli Stati Uniti se vogliono. E’ in atto l’osmosi della guerra di cui parlava Mailer. E se la Cina finisse per vincere la seconda Guerra fredda gli storici – ammesso che ne siano rimasti di quelli veri – potrebbero concludere che la sua vittoria ha avuto inizio quando l’America ha deciso di imitare la sua rivoluzione culturale”. (Traduzione di Gregorio Sorgi)