La strategia dell'Ue
Lamorgese e Johansson in Tunisia. Il timore dei ricatti sui migranti, come a Ceuta
Ministro e commissario Ue chiedono di velocizzare i rimpatri, mentre si lavora a un sistema di ricollocamento di emergenza in vista dell'estate
Oggi il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e il commissario europeo agli Affari interni Ylva Johansson sbarcano a Tunisi per convincere il governo locale a velocizzare i rimpatri, ridotti ai minimi termini nell’ultimo anno dopo la chiusura delle frontiere dovuta al Covid. I numeri degli arrivi in Europa lungo le rotte del Mediterraneo sono in rapida crescita e impongono contromisure urgenti. In nemmeno cinque mesi i migranti arrivati sulle coste italiane sono quasi triplicati rispetto a tutto il 2020, con oltre 13 mila persone sbarcate, la gran parte proveniente dai porti libici (circa 10 mila) e un picco nel mese di maggio pari a circa 3.500 arrivi. Per questo Lamorgese, intervenuta ieri in audizione in commissione bicamerale Schengen, ha detto che nell’attesa del Migration Pact, per il quale “servirà ancora tempo” perché “l’attuale formulazione della Commissione non è soddisfacente per l’Italia”, si lavora a un “protocollo di intenti” per affrontare l’emergenza dell’estate. Un ridimensionamento dovuto alle strenue resistenze dei paesi di Visegrád e dell’Europa del nord di fronte a qualsiasi tentativo di riforma che imponga obblighi di accoglienza agli stati membri. La congiuntura politica per raggiungere un accordo soddisfacente sul diritto d’asilo europeo resta negativa, considerando che anche Francia e Germania, a breve chiamate alle urne, sono sempre più caute quando si parla di quote e condivisione delle responsabilità. Nonostante gli sforzi diplomatici del governo Draghi, che ha comunque ottenuto il sostegno della Commissione Ue, non si riesce ad andare oltre la solidarietà su base volontaria, peraltro con risultati magri: finora solo l’Irlanda ha dato disponibilità per accogliere appena 10 migranti provenienti dal nostro paese. “Stiamo lavorando per riattivare il processo di Malta, e spero che riusciremo a portare un protocollo di intenti, nel momento in cui andiamo incontro all’estate”, ha spiegato il ministro Lamorgese a deputati e senatori. Morale: l’Ue rimane impantanata in una gestione emergenziale dei fenomeni migratori.
Johansson sta provando a dare una svolta e per questo la sua presenza a Tunisi al fianco del nostro ministro dell’Interno è strategica. Nonostante le indiscrezioni di stampa dei giorni scorsi, che parlavano di una presunta replica in Libia del patto concluso nel 2016 con la Turchia, l’Italia per ora non intende sviare dai quadri di cooperazione europea già esistenti. La linea è quella di continuare a muoversi su due livelli. Oltre alla ricerca di un accordo di ripartizione dei migranti sul modello di Malta – che fino a oggi ha portato a risultati scarsi, con la redistribuzione di appena un migliaio di migranti in oltre un anno – si punta sui rimpatri. Lamorgese ha detto che serve un sistema europeo ed è su questo che Johansson lavora da mesi. Nel 2019, di circa mezzo milione di migranti irregolari da rimpatriare dagli stati europei, solo 140-150 mila sono tornati effettivamente nei paesi di origine. La Tunisia è da tempo uno di quelli che collabora di più con l’Ue e l’Italia: tra il 2020 e il 2021 – dati del Viminale – il governo tunisino ha messo a disposizione del nostro paese 12 voli in più per i rimpatri, che lo scorso anno, nonostante il Covid, sono stati 2.016. Il premier Hichem Mechichi ha detto però nei giorni scorsi di non volere un hotspot per l’identificazione dei migranti in Tunisia. Dal punto di vista dell’Ue il rifiuto di Mechichi non è un problema secondario, perché questa soluzione permetterebbe di sgravare i paesi ai confini dell’Ue dall’onere dell’identificazione dei migranti. C’è poi il problema del terrorismo: due giorni fa, uno dei principali attentatori del Museo del Bardo del 2015 è stato arrestato dalla polizia tunisina poco prima che si imbarcasse per raggiungere l’Italia.
La visita di Lamorgese e Johansson è condizionata anche dalle notizie che arrivano da Ceuta, l’exclave spagnolo in Marocco dove si sono riversati circa 8 mila migranti negli ultimi giorni. Ieri la polizia marocchina ha ripreso i controlli alla frontiera bloccando gli sconfinamenti, ma pare chiaro che l’afflusso anomalo sia stato l’esito di una ritorsione. Rabat accusa Madrid di avere curato dal Covid-19 Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario, il movimento che chiede l’autodeterminazione del Sahara occidentale. La Spagna “sapeva che è molto alto il prezzo per chi vuole sottovalutare il Marocco”, ha detto ieri l’ambasciatrice in Spagna. “Non ci faremo intimidire”, ha replicato Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione Ue. Il danno diplomatico è grave e potrebbe avere effetti anche sui negoziati per i rimpatri verso il Marocco. Sono giochi politici che, in assenza di una riforma del diritto d’asilo, rendono ancora più fragile la strategia migratoria europea. Da Ceuta a Tripoli, fino alle coste turche, l’Ue ha deciso di esternalizzare la gestione delle sue frontiere, rendendosi ricattabile da paesi terzi in cui vige una combinazione letale per qualsiasi sogno di stabilizzazione dei flussi migratori, ossia dubbie istituzioni democratiche e precarie condizioni economiche. Un mix che rischia di tradursi in un semplice: non vuoi i migranti? Allora devi darmi ciò che ti chiedo.