Perché Minsk teme Roman Protasevich, asso della guerra tech contro il regime

Micol Flammini

Siti chiusi, minacce a Telegram. Gli sforzi del dittatore analogico per reprimere la forza digitale delle proteste contro di lui sono sempre più forti, violenti e minacciosi. Ma Lukashanka resta sempre un passo indietro

Roman Protasevich e la sua fidanzata Sofia Sapega, arrestati dal regime bielorusso domenica a Minsk, si aggiungono alla lista dei prigionieri politici di Aleksandr Lukashenka. Con loro due la lista arriva a 408. Di Sofia Sapega, cittadina russa, si sa che è nella prigione di Okrestina. Di Roman si sa che è stato costretto a girare un video in cui confessa che stava tramando contro il regime (non si sa di quand’è) e che ora potrebbe essere in ospedale  in condizioni critiche: è accusato di terrorismo e rischia anche la pena di morte. Mentre l’aereo stava atterrando Roman ha detto: mi vogliono uccidere. La settimana prima a bordo di un  volo  che compiva la stessa tratta, Atene-Vilnius, viaggiava Svjatlana Tikhanovskaya, ma il regime, che probabilmente aveva già in testa l’idea di  sequestrare un aereo per arrestare i suoi nemici, non ha voluto rischiare con la leader dell’opposizione. Lo ha fatto con  un ragazzo di 26 anni che, come gran parte degli attivisti, vive fuori dalla Bielorussia, tra la Polonia e la Lituania. 

 

Protasevich non è soltanto un oppositore molto coraggioso, è il simbolo di come la rivolta contro il dittatore sia potuta diventare così grande. Quest’estate da Varsavia gestiva il canale Telegram Nexta, che è riuscito a organizzare  le numerose proteste contro il regime. Tramite Nexta lui e la sua squadra organizzavano i cortei, pubblicavano le foto dei manifestanti picchiati. Il canale è riuscito con un lavoro instancabile a dare forma a un movimento che per alcuni mesi sembrava essere rimasto senza leader. Molti erano dovuti fuggire, tanti erano e sono  in prigione. Roman, dopo aver portato avanti i suoi compiti con Nexta, ha  aperto  un altro canale Telegram, Belamova, in cui più che organizzare le proteste vengono denunciati i crimini del regime: arresti, torture, sparizioni. 


Chiunque è in pericolo in Bielorussia, ma Lukashenka ha un nemico che vuole eliminare prima degli altri, vuole colpire quel mondo tecnologico di cui Roman è un rappresentante e che conduce   una guerra digitale contro la dittatura. La scorsa settimana il regime ha chiuso il sito di notizie tut.by, letto dal 63 per cento dei bielorussi. La redazione è stata chiusa con l’accusa di evasione fiscale, è dentro all’Hi-Tech Park della capitale, una Silicon Valley bielorussa che negli anni ha  attirato molte aziende. Ma chi frequenta l’Hi-Tech Park, le società che vi risiedono, in questa guerra tra Lukashenka e l’opposizione ha  preso una posizione ben precisa: sta con i manifestanti e le aziende  hanno minacciato il dittatore di lasciare il paese. Un tempo Lukashenka riteneva l’Hi-Tech Park il fiore all’occhiello della Bielorussia, la forza di una nuova impronta economica orientata al futuro, il fatto che sia disposto a tutto pur di annullare ogni forma di opposizione politica mostra anche che ormai ha una sola priorità politica: conservare il suo potere ed eliminare un oppositore alla volta. “Ovunque si trovino, non importa quanto tempo ci vorrà, li troveremo e li elimineremo”, aveva detto in aprile il viceministro dell’Interno bielorusso. 


In Bielorussia finiscono in prigione medici, insegnanti, operai, studenti che sul computer hanno adesivi che al regime ricordano simboli di protesta, sono state arrestate più di trentacinquemila persone, i procedimenti penali aperti sono oltre tremila, la scorsa settimana un manifestante arrestato in agosto è morto in una colonia penale per un attacco di cuore. Lukashenka spinge sempre più in là la violenza, spera che la repressione  contro Telegram, i siti, i social e contro chi, come Roman, incarna questa guerra digitale sia la garanzia  della  permanenza al potere. Come scrive Artyom Shraibman del Carnegie, c’è una cosa che Lukashenka   non ha capito: i bielorussi hanno imparato a muoversi, se non hanno più  tut.by continueranno a cercare  piattaforme indipendenti, utilizzando una vpn accederanno a siti bloccati come naviny.by, euroradio.fm, svaboda.org, belaruspartisan.by, belsat.eu. Sempre in pericolo, ma sempre un passo avanti al dittatore analogico. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)