A Londra
La teoria del caos è fallita. Cummings accusa Johnson (e se stesso)
Potevi scegliere di salvare più vite e non lo hai fatto. Questo ha detto l'ex consigliere al premier
Cummings ha raccontato di aver detto a Johnson nel luglio scorso che si sarebbe dimesso a dicembre perché “tutto questo sistema è un caos” e lui non era messo nelle condizioni di gestirlo, quel caos. “Sei molto più spaventato dal fatto che io abbia il potere di fermare il caos che dal caos stesso”, disse Cummings. E Johnson gli rispose ridendo: “Sì, ho più paura del fatto che tu possa fermare il caos che dal caos stesso, il caos non è poi così una brutta cosa, il caos significa che tutti devono guardare verso di me per capire chi ha il comando”
Brutale come solo lo svelamento delle dinamiche del potere può essere, ieri Dominic Cummings ha parlato per molte ore ai Comuni inglesi della gestione fallimentare e “senza scuse” della pandemia da parte del governo di Boris Johnson. Fino al 13 novembre dello scorso anno, Cummings faceva parte di quel governo, anzi ne era l’architetto, il guru, il consigliere capo, il regista, ed è per questo che ha aperto la sua testimonianza assumendosi le sue responsabilità, chiedendo scusa degli errori fatti che si sono tradotti in un numero di vittime del Covid che si poteva, se solo si fosse stata la volontà politica, tenere più basso. Ma la volontà non c’era: è questa l’accusa che Cummings rivolge al suo ex capo e adepto e amico Johnson, che è un’accusa ben più grave dell’impreparazione o dell’improvvisazione o persino della leggerezza. Potevi scegliere di salvare più vite e non lo hai fatto, questo dice Cummings al premier, che non è il solo responsabile (“ho chiesto quindici o venti volte di licenziare Matt Hancock”, ministro della Salute) ma che è ovviamente l’unico ad avere il potere per far andare le cose in un’altra direzione. I ricaschi di questa testimonianza in camicia bianca si sentiranno a lungo.
Perché dietro ai dettagli sui giorni persi e sulle riunioni non fatte in gioco qui c’è l’esercizio del potere, il suo equilibrio o il suo disfacimento, o più banalmente la sua adeguatezza. Tra le tante cose dette da Cummings (selezionare è difficilissimo) una delle più significativa è stata l’esplicitazione di una teoria del caos come metodo di governo.
Armato di documenti, appunti e WhatsApp (i difensori di Johnson hanno risposto con i loro, di WhatsApp: questa guerra di potere a suon di screenshot è un avviso globale per tutti noi), Cummings ha raccontato di aver detto a Johnson nel luglio scorso che si sarebbe dimesso a dicembre perché “tutto questo sistema è un caos” e lui non era messo nelle condizioni di gestirlo, quel caos. “Sei molto più spaventato dal fatto che io abbia il potere di fermare il caos che dal caos stesso”, disse Cummings. E Johnson gli rispose ridendo: “Sì, ho più paura del fatto che tu possa fermare il caos che dal caos stesso, il caos non è poi così una brutta cosa, il caos significa che tutti devono guardare verso di me per capire chi ha il comando”.
Cummings ha declinato questo caos, descrivendo un premier programmaticamente caotico: cambia idea ogni dieci minuti, chiama i giornali per contraddire quel che lui o il suo governo hanno detto poco prima, s’aggira per i corridoi come un carrello della spesa che va per i fatti suoi, ha una fidanzata invadente e ai limiti della legalità (Cummings ha detto che Carrie Symonds è parte della motivazione delle sue dimissioni, il suo comportamento “non soltanto non etico ma chiaramente illegale” per sistemare i suoi amici), vive di rimpianti, avrebbe voluto essere come il sindaco di “Lo Squalo”, che non aveva chiuso le spiagge per salvare la stagione balneare anche se c’era uno squalo che squartava i bagnanti.
Che Cummings potesse essere il guardiano del caos appare improbabile essendo stato lui un sostenitore del caos come strumento di potere. Ed è forse questo il fallimento più grande, quello di un sistema che così architettato non può che generare confusione e mediocrità. “Leoni guidati da asini, ancora e ancora – ha detto Cummings – E’ folle che la scelta nel 2019 fosse tra Johnson e Jeremy Corbyn, è ovvio che il sistema è andato estremamente storto”. La democrazia è un disastro se pone una scelta tra queste due incompetenze, ma nessuno si senta escluso: “E’ anche folle che uno come me sia stato in una posizione così di potere”, ha detto Cummings, ci sarebbero mille persone migliori di noi tra cui scegliere — chissà dove, chissà quando.
L'editoriale dell'elefantino