Quello che i social non vi dicono
Chi sono gli islamisti arabi che decidono il governo in Israele
Le radici in comune con Hamas, la scelta della politica senza violenza, il successo elettorale. E' la democrazia rappresentativa israeliana. Ecco cosa chiedono nei negoziati politici
Israele è una democrazia rappresentativa e questo vuol dire che il partito arabo e islamista Ra’am può andare al governo e può dare la spallata decisiva che fa cadere il primo ministro Benjamin Netanyahu, al potere senza interruzioni da dodici anni. Per tre notti consecutive dunque il capo del Ra’am, Mansour Abbas, ha negoziato in una sala dell’hotel Kfar Maccabiah vicino a Tel Aviv con i capi di altri partiti di Israele, incluso quel Naftali Bennett considerato più a destra di Netanyahu, per far passare le sue richieste, far nascere un governo e risparmiare al paese le quinte elezioni in due anni. E’ una coalizione di otto fazioni che lascia perplessi sulla possibilità di una lunga vita politica perché c’è dentro di tutto, dagli arabi ai centristi alla destra, e quindi i programmi sono diversi, ma c’è chi invece scommette che potrebbe essere longevo: i partiti dei duri hanno fatto un grosso compromesso per allearsi con Abbas e quindi non hanno fretta di ripresentarsi davanti al loro elettorato per un nuovo voto. E Abbas deve dimostrare di essere capace di raggiungere traguardi concreti e quindi neanche lui ha fretta di far fallire la coalizione.
Ra’am è un partito religioso nato da un’antica scissione del Movimento islamico in Israele, che ha origini comuni con Hamas e che nel 1996 si divise in uno spezzone del sud e uno spezzone del nord. Lo spezzone del nord sosteneva che non è lecito presentarsi alle elezioni per entrare alla Knesset, il Parlamento di Israele. Alcuni suoi rappresentanti sono stati arrestati di recente perché coinvolti nelle violenze in strada fra torme di arabi e di israeliani durante l’ultima guerra a Gaza, finita due settimane fa. Lo spezzone del sud invece considerava possibile presentarsi alle elezioni e formò il partito religioso Ra’am. Un quinto dei nove milioni di cittadini di Israele è formato da arabi palestinesi che da anni premono per una rappresentanza in politica e ora hanno un riferimento. Se si ripercorre l’albero genealogico delle fazioni, si vede che a un certo punto molti anni fa le stesse persone si sono divise e hanno fatto scelte differenti. Oggi a un’estremità c’è Hamas e ha deciso che l’unica soluzione possibile è distruggere Israele con le armi e lancia aggressioni militari disastrose; all’altra estremità c’è Ra’am, che di fatto sta scalzando Netanyahu dal potere senza tirare nemmeno un mandarino.
Abbas in cambio dell’accordo di governo – il primo nei 73 anni di storia di Israele – ha chiesto investimenti molto sostanziosi nelle aree a maggioranza araba per sviluppo e lotta alla criminalità, il riconoscimento dei villaggi beduini nel Negev, la presidenza della commissione Interni al Parlamento e il congelamento della legge Kaminitz del 2018, che punisce con durezza le costruzioni abusive – in maggioranza sono nelle zone arabe. E’ un passo che arriva otto mesi dopo gli accordi di Abramo, con i quali alcuni stati arabi hanno avviato un impensabile processo di normalizzazione con Israele. Questi fatti, per qualche ragione, non trovano spazio sui social, dove senza l’obbligo di aderire un minimo alla realtà durante l’ultima guerra di Gaza alcuni parlavano di “pulizia etnica” israeliana contro gli arabi.