Il necessario passo indietro di Netanyahu

Bibi dice che il governo contro di lui è “un imbroglio e una resa”. I tempi dell'uscita di scena

Micol Flammini

Tenere a bada la tensione in Israele adesso è un dovere per il premier uscente e per tutta la politica, anche se il nuovo governo ha molti punti deboli e aspetti incoerenti 

L’annuncio del giorno in cui il nuovo governo israeliano presterà giuramento è stato rinviato ancora una volta. Yariv Levin, lo speaker della Knesset, il Parlamento di Israele, ha detto che non ha ancora deciso, ma che lo comunicherà con un anticipo “sufficiente”. Tanto è bastato ai partiti che faranno parte della prossima maggioranza per sospettare che il premier in carica, Benjamin Netanyahu, sia alla ricerca di tempo per far crollare l’esecutivo prima che nasca. Basterebbe un solo voto contrario tra i deputati: è molto fragile l’alleanza creata da Yair Lapid per sostituire il primo ministro che ha governato la nazione per dodici anni. Per Netanyahu non essere più premier  non è semplice – c’entrano il potere, i processi e anche i suoi progetti per il paese –  ma il leader del Likud probabilmente continuerà a influenzare la politica di Israele dall’opposizione. Rimarrà  alla guida del suo partito, il Likud, e per l’èra Netanyahu potrebbe essere soltanto una pausa più che una fine, soprattutto se si guarda alla fragilità del nuovo esecutivo che avrà come primo ministro Naftali Bennett. 

 

La situazione politica in Israele è molto tesa, e la tensione va avanti da oltre due anni. Si spera che non sia proprio Netanyahu a farla aumentare dopo aver definito il nuovo governo “un imbroglio e una resa”. Rapidamente è stato accostato a Donald Trump, ma il premier non ha  messo in discussione la legalità del processo elettorale e del suo risultato. Il suo partito rimane il più votato, ma non è riuscito a mettere insieme una coalizione. Netanyahu dovrà accettare che Israele si basa su un sistema democratico che autorizza la formazione di un nuovo governo pieno di forze contrastanti, criticabile sotto molti punti di vista. Ora la tensione va dominata, tenuta a bada, non deve sommarsi alle tensioni che già esistono nel paese  e che ieri hanno portato la polizia ad annullare a Gerusalemme la “marcia della bandiera” per paura di nuovi scontri tra arabi ed ebrei nella capitale, come quelli che il mese scorso si sono verificati a Lod, Acri, Haifa, Bat Yam. Se le parole di Netanyahu diventeranno una miccia, il rischio è di violenze tra fazioni politiche, ebrei contro ebrei. Una situazione che non è nelle intenzioni del premier.

 

Adesso va favorita una transizione tranquilla tra il vecchio e il nuovo governo e questo spetta soprattutto a lui. “Israele non può permettersi un governo incoerente – dice al Foglio Boaz Bismuth, direttore del quotidiano conservatore Israel Hayom – ma questo non autorizza chi non appoggia la scelta di Bennett a chiamarlo ‘traditore’. Non è un traditore. Nel  governo non  potrà fare ciò che ha promesso, può essere criticato, ma c’è un limite. Una democrazia deve rispettare le sue istituzioni. Quello che è difficile da accettare per gli israeliani è che in maggioranza hanno votato per un governo conservatore. I deputati conservatori della nuova Knesset sono circa 76 su 120 e avranno un governo che  non agirà da conservatore”. Questo può essere frustrante per l’elettorato e per Netanyahu sarà un ottimo argomento d’opposizione, ma non è un motivo per scalfire la democrazia del paese. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)