Il rapporto sul 6 gennaio americano mostra le falle nella sicurezza (non nella politica)
L'assalto al Campidoglio da parte dei supporter di Trump è un fatto così grave che nessuno sa cosa farci: i democratici non vogliono insistere, i repubblicani preferiscono dimenticare. I risultati della mini-inchiesta interna del Senato americano
Ieri è arrivato il rapporto del Senato sui fatti del 6 gennaio scorso, l’assalto al Campidoglio, ed emergono tutte le falle nella sicurezza che hanno scandito quella giornata. Le 127 pagine non sono un’indagine su che cosa è successo il 6 gennaio, ma assomigliano più a una specie di audit interno su cosa, al Campidoglio, quel giorno non ha funzionato nei sistemi di sicurezza. In sintesi: non ha funzionato niente. Non la comunicazione, visto che nessuno degli agenti di stanza quel giorno era stato informato del fatto che da settimane si sapeva di una possibile insurrezione e che, dalla sera prima, l’Fbi aveva avvertito della possibilità di “scenari da guerra”; non gli equipaggiamenti, spesso difettosi, vecchi o guasti e, comunque, a disposizione solo di pochi agenti non addestrati al loro uso; non la catena di comando, visto che quando le cose si sono messe male nessuno sapeva a chi spettasse il compito di chiamare i rinforzi della Guardia nazionale. Niente: quel giorno, al Campidoglio, non ha funzionato niente. Solo (e per fortuna) le procedure di evacuazione nei bunker di deputati e senatori.
Oltre all’evidente sottovalutazione dei segnali di allarme e della mancata preparazione a un’ipotesi di assalto, nella lettura del report ci sono due cose che saltano all’occhio una per la sua enorme vistosità, l’altra per la sua vistosissima assenza. Quella che si vede, come se avesse un faro puntato, è quanto l’attacco fosse prevedibile, previsto e annunciato: in quelle settimane, i segnali di possibili rivolte violente erano ovunque e in pieno sole, visto che tra i gruppi social #MAGA e #StoptheSteal circolavano mappe del Campidoglio con porte di accesso, vie di fuga, passaggi tra corridoi e disposizione degli uffici. La cosa che invece si nota per la sua assenza è Donald Trump. Il report non lo nomina quasi mai, e quando lo fa, non lo mette in collegamento diretto con i fatti del 6 gennaio. Ne parla di striscio come presidente che quel giorno ha tenuto un discorso al quale potrebbero aver partecipato alcuni dei facinorosi, ma niente di più. Le ragioni di tanta cautela nel non dire che gli assalitori quel giorno, oltre che copricapo fantasiosi, avevano anche un leader ispiratore, in nome e per conto del quale agivano, sono sia burocratiche sia politiche.
Le ragioni burocratiche sono da imputare al ruolo della Commissione per le Regole del Senato, che ha stilato il rapporto, il cui compito, nei fatti, è capire cosa non ha funzionato e perché, non occuparsi del tentato colpo di stato o dell’assalto. Le ragioni politiche invece sono più complesse e hanno a che fare con il fatto che in Senato, con la maggioranza appesa a un voto e accordi bipartisan impossibili da trovare, si cammina su un filo sottile di ragnatela. Un filo, per giunta, teso tra due capi che ruotano entrambi attorno al 6 gennaio e che assomigliano al vecchio “don’t ask don’t tell” di clintoniana memoria. Da un lato (don’t ask) ci sono i democratici che hanno avuto un avversario che flirtava con i colpi di stato e la dittatura ma non vogliono insistere troppo o in modo ossessivo per evitare di disgregare definitivamente quella società americana i cui cocci Joe Biden sta tentando di rimettere insieme; dall’altro (don’t tell) ci sono i repubblicani che devono maneggiare la pagina più vergognosa della loro storia, sapendo però che gli autori di quel l’ignominia sono in parte i loro stessi elettori. Così, oggi, siamo al paradosso che la questione 6 gennaio è così grave, così gigantesca, così esplosiva che nessuno sa bene cosa farci.
E nel dubbio, allora, non ce ne si fa niente visto che, per giunta, l’ipotesi di creare una vera commissione bipartisan di indagine su cosa sia successo quel giorno è naufragata per volere dei repubblicani. Si è deciso di cauterizzare tutto con una mini inchiesta interna sui sistemi di sicurezza dell’edificio del Campidoglio. Che è vero, non hanno funzionato. Ma che, va detto, non erano nemmeno stati nemmeno concepiti per reggere l’assalto di un’insurrezione.
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