In Germania
Il liberale tedesco Lindner ci spiega il suo “asse renano” post Merkel
Il leader 42enne non ha la pretesa di diventare l’ago della bilancia, “ma siamo pronti ad assumerci responsabilità di governo”
Con il 12 per cento dei consensi non puoi plasmare la politica tedesca ma puoi lasciare un segno. È quello che intende fare Christian Lindner, il leader renano del Partito liberale tedesco (Fdp). Ricevendo in giardino in forma virtuale i rappresentanti della stampa estera in Germania, camicia bianca e tazza di caffè in mano, Lindner ha spiegato come intende muoversi fino al 26 settembre, data delle elezioni per il rinnovo del Bundestag. “Vogliamo diventare forti abbastanza da impedire la nascita ‘automatica’ di un’alleanza nero-verde ma anche rendere impossibile una coalizione rosso-rosso-verde”. Il leader 42enne non ha la pretesa di diventare l’ago della bilancia, e d’altronde i tempi in cui sia la Cdu sia la Spd sfioravano il 40 per cento dei consensi e cercavano a turno l’appoggio del partito “giallo” non sembrano destinati a tornare. “Ma siamo pronti ad assumerci responsabilità di governo”, come fatto fra il 1950 e il 1998 quasi senza soluzione di continuità.
Tuttavia negli ultimi 23 anni i liberali non si sono visti granché: a coinvolgerli al governo per ultima è stata Angela Merkel nel 2005 con il varo di una coalizione nero-gialla. Eppure Lindner non è per nulla riconoscente. Al contrario il giovane presidente dell’Fdp stenta a nascondere l’astio per la cancelliera venuta dall’est. Perché a lei, il giudizio degli analisti politici è concorde, si deve la peggiore disfatta elettorale del partito guidato allora da Guido Westervelle. I liberali erano entrati al governo promettendo di abbassare le tasse ma Merkel, brandendo la crisi dell’eurozona, non lo permise. E ancora, l’Fdp voleva un’economia più amica delle imprese e la cancelliera, usando Fukushima come un randello, impose un’accelerata all’uscita della Germania dal nucleare. Se nel 2009 i liberali avevano raccolto un clamoroso 14,6 per cento dei voti, quattro anni di coabitazione con la cancelliera li ridurranno al 4,8, troppo pochi per superare la soglia di sbarramento del Bundestag fissata al 5 per cento. Lindner fu scelto nel 2013 per risollevare il partito.
Nel 2017 fece crollare il tentativo di Merkel di varare una coalizione nero-verde-gialla (detta Jamaica), ritenendo l’esperimento troppo spostato a sinistra. Tutti lo accusarono di aver perso l’ultimo treno per il governo. Gli abbiamo chiesto se l’Fdp abbia superato quel trauma, e la sua risposta è stata sottile: “Il trauma è stato per gli altri, non per noi che da allora abbiamo i sondaggi a favore e il numero di iscritti in crescita: la Jamaica del 2017 non andava bene”. Allora i Verdi arrivavano al 9 per cento ma a settembre dovrebbero raccogliere oltre il 21, condizionando in teoria la coalizione ancora più a sinistra. E tuttavia “oggi le condizioni per entrare al governo sono molto migliori”, sibila Lindner. Perché Merkel non sarà della partita e il suo successore, il renano Armin Laschet, “considera l’Fdp un alleato naturale”. Il leader liberale ricorda che Laschet ha appena spiegato alla Bild che l’alleanza nero-verde non è la sola soluzione possibile. Poi cita il recente “no ad altre tasse” di Friedrich Merz, leader, pure lui renano, dell’ala destra della Cdu, già arcinemico della cancelliera e oggi alleato di Laschet.
Lindner spera insomma in un accordo fra leader (renani) di liberali e Cdu preliminare al negoziato con i Verdi. Allo stesso tempo, non esclude un’intesa “semaforo” con ecologisti e socialdemocratici: l’importante è tornare in sala comandi. Il suo ottimismo, spiega, arriva dal forte sostegno dei giovani, “anche diciottenni”, per il partito. Chiara la sua agenda internazionale: rinegoziare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti più leggero del Ttip, spingere sulla ratifica del Ceta col Canada e del trattato Ue-Mercosur. Poi invoca commerci diversificati, con meno Cina e più partner asiatici. Il Nord Stream 2? “Va completato ma servono dei meccanismi di tutela dell’Ucraina”. E la Turchia? “L’adesione è impossibile, meglio un accordo di associazione come con la Svizzera”.