Ambizioni spaziali

La Cina contro il resto del mondo ora è anche sulle nostre teste. Due modelli a confronto

Giulia Pompili

La stazione spaziale internazionale e la stazione spaziale cinese abitate contemporaneamente. Gli straordinari progressi di Pechino e le preoccupazioni di Washington

E’ il primo passo davvero concreto del programma spaziale cinese, quello più visibile. Perché in questo preciso momento sulle nostre teste, nell’orbita bassa terrestre, per la prima volta ci sono due diverse stazioni spaziali abitate da esseri umani. La prima è la Stazione spaziale internazionale: il simbolo del progresso occidentale e soprattutto della fine della Guerra fredda – così tanto evocata in questi giorni dopo il ritorno dell’alleanza atlantista a opera di Joe Biden. Dall’altra parte il primo pezzo della Tiangong, che vuol dire “Palazzo dei cieli”, una stazione spaziale che è il simbolo della riscossa cinese: molta della progettazione è ispirata, diciamo così, al programma spaziale russo, ma tutta la produzione, dai razzi lanciatori ai moduli della cittadella spaziale, sono made in China. 


Da ieri Nie Haisheng, Liu Boming e Tang Hongbo, i membri della missione Shenzhou 12, sono entrati dentro a Tianhe (“L’armonia dei cieli”), il modulo centrale della  stazione spaziale di Pechino. I tre astronauti –  anzi, tecnicamente sarebbero “taikonauti”, come definiscono i cinesi gli uomini dello spazio – vivranno lì per tre  mesi. Il primo modulo di Tiangong è stato lanciato in orbita bassa il 29 aprile scorso, ed è lungo soltanto sedici metri. Il lancio dei taikonauti è avvenuto dal centro spaziale di Jiuquan, e la navicella  Shenzhou ci ha messo soltanto 6 ore e mezzo ad arrivare al modulo  Tianhe.  


Dopo la parziale realizzazione del Sogno cinese spaziale di ieri, la competizione tra America e Cina si farà sempre più dura. E’ quello che pensano anche alla Nasa, l’agenzia spaziale americana: Bill Nelson, il nuovo amministratore dell’Amministrazione Biden, sin dal suo insediamento ha descritto Pechino come il più grande competitor degli Stati Uniti, soprattutto in campo spaziale, che procede con azioni “molto aggressive”. E’ vero: le ambizioni cinesi in orbita sono quasi da film hollywoodiano. E per raggiungerle Pechino non ha mai posto un limite ai budget necessari. E’ anche per questo che per gli scienziati internazionali lavorare in Cina è molto allettante: ci sono i soldi. In America un po’ meno. Secondo il Washington Post, Nelson sta cercando di usare la competizione con la Cina proprio per ottenere più soldi dal Congresso americano. Da una parte vorrebbe l’allungamento del progetto della Stazione spaziale internazionale, che è in orbita da più di vent’anni e dovrebbe rientrare sulla terra definitivamente  entro  il 2028. La Nasa vorrebbe allungare il programma almeno fino al 2030. E poi c’è il programma Artemis, quello che dovrebbe far tornare gli americani sulla luna, che è rallentato dai budget  (“l’anno scorso”, scrive il Washington Post, “il Congresso ha stanziato 850 milioni di dollari per il lander lunare, ben al di sotto della richiesta di 3,3 miliardi di dollari avanzata dalla Nasa”).


Sebbene gran parte degli scienziati sia certa che le tecnologie americane siano ancora a un livello nettamente superiore a quelle cinesi, la competizione tecnologica coinvolge anche e soprattutto la Difesa. Non esiste un programma spaziale che non utilizzi tecnologie “dual use”, cioè usate anche nel settore della Difesa, ed è per questo che i progressi di Pechino spaventano l’America. Ma c’è un  motivo per cui la Corsa allo spazio contemporanea è diversa da quella tra Stati Uniti e Unione sovietica di trent’anni fa. La Nasa ha aperto alla collaborazione con i privati, che si muovono secondo i loro interessi, in una logica di mercato. Insomma: c’è molta poca propaganda e prestigio nazionale, si tratta di business. Per la Cina, esattamente com’era all’epoca per l’Unione sovietica, il programma spaziale non è separato dal settore militare. Tutti i taikonauti sono piloti militari. Un modello, quest’ultimo, che ha portato l’Urss a raggiungere obiettivi molto concreti nel breve periodo, ma che poi è stato la causa stessa del collasso del programma spaziale russo. Dall’altra parte, il sistema americano – lo stesso che si usa anche nell’Ue, in Canada, in Giappone – è fatto di conoscenza scientifica, progresso, ma anche di conti trasparenti, budget da sottoporre a un voto collettivo, all’opinione pubblica. Più macchinoso, certo, ma forse anche più sostenibile. 
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.