La questione catalana si fa globale in difesa dell'economista Andreu Mas-Colell
Il mondo accademico difende l’ex ministro da una supermulta: "La politica sta prevalendo sulla giustizia"
Alla fine di giugno il Tribunal de Cuentas spagnolo, che è di nomina politica, annuncerà l’entità della multa comminata a 39 persone per aver speso denaro pubblico al fine di fare propaganda all’estero a favore del referendum illegale di indipendenza della Catalogna del 2017. La cifra complessiva potrebbe assommare a molte decine di milioni di euro. E’ evidente il peso politico di questa decisione, che avviene proprio mentre il premier Pedro Sánchez tesse un controverso indulto per i leader indipendentisti in carcere, per cercare di ricucire un dialogo con i partiti secessionisti che continuano a governare a Barcellona e, certo, anche per dare respiro al suo esecutivo, che nel Parlamento spagnolo ha bisogno del supporto, sottilmente ossimorico, di quegli stessi secessionisti catalani.
Si tratterebbe solo dell’ennesimo episodio quotidiano dello scontro che da anni arroventa e ammorba le relazioni tra Barcellona e Madrid se Alexandre Mas, economista catalano che insegna a Princeton e che è stato chief economist al dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, non avesse scritto un thread su Twitter per raccontare, in inglese, questa vicenda, che coinvolge anche suo padre Andreu. Il settantasettenne Andreu Mas-Colell – prestigioso studioso e coautore di “Microeconomic Theory”, che è uno dei manuali sull’argomento più diffusi nel mondo – è infatti una delle trentanove persone coinvolte dal procedimento del Tribunal de Cuentas, in quanto, dal 2010 al 2016, è stato consigliere (e cioè ministro) dell’Economia del governo catalano.
Come (e più) del figlio Alex, anche Andreu Mas-Colell è molto conosciuto all’estero. Prima di tornare a Barcellona per insegnare all’Università Pompeu Fabra e poi per ricoprire l’importante incarico politico di consigliere dell’Economia, Mas-Colell si è laureato in Minnesota e ha insegnato a Berkeley e poi a Harvard. Quindi i tweet di suo figlio Alex hanno cominciato ad avere grande circolazione nel mondo degli economisti. Papà non c’entra nulla con il referendum e si è ritirato a vita privata un anno prima, scrive Alex Mas: ora dovrà fare ricorsi che dureranno tempi infiniti e, intanto, gli congeleranno tutti i beni e tutti i conti.
Colpevole o meno, certo Mas-Colell non è stato un buon profeta: “Mi azzardo a dire che ciò che avverrà sarà concordato e che non ci sarà alcuna frattura politica”, scrisse nel 2006 sul País riferendosi al “tema catalano” (e, mh, è andata proprio così…). Ma è un moderato: alle ultime elezioni ha appoggiato il Partit demòcrata europeu català che, troppo poco schierato per piacere davvero a un elettorato ormai polarizzatissimo, è rimasto fuori dal Parlamento di Barcellona.
Pol Antras, un altro professore catalano che insegna economia ad Harvard, ha retwittato a sua volta la faccenda, anche lui in inglese, per provare a illustrare a una platea internazionale una situazione complessa. Ma poi ha concluso così la sua spiegazione: “So che questo mio thread non avrà altro effetto se non quello di far infuriare sia i miei amici & follower catalani sia quelli spagnoli, che saranno infastiditi dalla mia descrizione degli eventi che tiene in considerazione le sfumature”.
Sfumature che non piacciono all’editorialista Arcadi Espada, il quale, in una column sul Mundo intitolata “¡Oh my dad!”, ha scritto che i tweet di Alex Mas sulle disgrazie del babbo raccontano bugie e riflettono la “spazzatura nazionalista” secondo cui in Spagna non c’è una giustizia giusta. E, come in una Ringkomposition che entra in risonanza proprio con le motivazioni del Tribunal de Cuentas, Espada scrive che quei tweet sono “dedicati alla propaganda all’estero”.
All’estero, in effetti, la storia si sta diffondendo, è intervenuto anche il premio Nobel Paul Romer: “Non sembra che sia una questione giudiziaria, ma politica, con altri mezzi”. Al di là del caso di Mas-Colell, il racconto che l’indipendentismo catalano fa di sé all’estero (finanziandolo illegalmente, dice il Tribunal de Cuentas) è senz’altro formidabile. Ma non è responsabilità dell’indipendentismo il fatto che la strategia del costituzionalismo spagnolo più muscolare e spesso maggioritario – fatta solo di divieti, di arresti, di pene esemplari, di editoriali che parlano sic et simpliciter di “golpisti” riferendosi a leader politici votatissimi e, ora, anche di macromulte che si annunciano come altrettanto esemplari – non risulti invece un granché convincente all’estero, anche per chi non si abbeveri soltanto alle fonti del nazionalismo catalano. Inténtalo otra vez, Madrid!