Niente sesso né alcolici. Le regole anti Covid dei Giochi olimpici di Tokyo
Come si fa a limitare il rischio dei Megaeventi durante la pandemia? Il governo giapponese le prova tutte
Fino a diecimila persone potranno assistere alle gare delle prossime Olimpiadi di Tokyo. Ma se la situazione dovesse peggiorare allora le competizioni andranno avanti a porte chiuse. Dopo aver escluso il pubblico dall’estero, i giapponesi aspettavano questa decisione, annunciata ieri dopo una riunione tra il Comitato olimpico internazionale, la governatrice di Tokyo Yuriko Koike, il comitato organizzatore nipponico e i funzionari governativi. Il calendario dei Giochi olimpici del 2020, poi spostati al 2021 causa pandemia, resta pressoché invariato ed è ufficialmente esclusa l’ipotesi di farli completamente a porte chiuse. Già così per il Giappone è una catastrofe: Toshiro Muto, direttore generale del comitato organizzatore, ha detto che a queste condizioni, con la metà degli spettatori sul palco, gli incassi previsti passano da 820 milioni di dollari a 2,72. Ma il problema resta il controllo delle persone e i loro spostamenti: secondo gli esperti, tra cui quelli che hanno realizzato uno studio congiunto della Kyoto University con l’Istituto nazionale per le Malattie infettive di Tokyo, senza adeguate misure di sicurezza la capitale giapponese potrebbe arrivare ad avere diecimila contagiati nel giro di un mese. Del resto in Giappone la vaccinazione di massa è partita tardissimo: ora sta accelerando, ma a oggi soltanto il 16 per cento della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino. Secondo le proiezioni la temuta variante delta dovrebbe essere prevalente in Giappone proprio tra un mese, all’apertura dei Giochi.
L’opinione pubblica giapponese ha espresso più volte la sua contrarietà alla manifestazione di massa, e ultimamente si è esposta anche la comunità scientifica. Il consigliere del governo Shigeru Omi, vicepresidente della task force nipponica contro il Covid, si è espresso perfino durante un’audizione in Parlamento: “Non è normale fare le Olimpiadi durante una pandemia”, e aveva raccomandato di svolgerle senza pubblico. Perfino il primo ministro Yoshihide Suga, venerdì scorso, quando ha sollevato lo stato d’emergenza di diverse prefetture, tra cui l’area di Tokyo, ha chiesto ai cittadini di guardare le gare da casa.
Ma tra i funzionari giapponesi c’è un senso di inesorabilità, come a dire: non possiamo fare altrimenti. Le Olimpiadi si devono fare, costi quel che costi. Per non perdere troppi soldi l’unico modo è trasformare la festa dello sport in una specie di percorso sanitario con regole rigidissime.
Prima regola: niente condom. I preservativi distribuiti nel villaggio olimpico sono una tradizione che è iniziata alle Olimpiadi di Seul del 1988, per sensibilizzare anche gli atleti e lo staff delle nazionali sul tema dell’Aids. Il Comitato organizzatore di Tokyo consegnerà i condom agli abitanti del Villaggio olimpico soltanto alla loro ripartenza, come dire: fatelo, ma non qui, grazie. Abbiamo già troppi problemi per occuparci anche dei non congiunti che si contagiano tra loro. Nelle ultime settimane poi si è parlato moltissimo di alcolici: durante il periodo di emergenza Covid, la vendita di alcol nei luoghi pubblici, ristoranti e bar, è stata sospesa perché “quando ci sono gli alcolici di mezzo la gente parla a voce alta, abbassa la guardia, si avvicina agli altri”, aumentando il rischio di contagio da aerosol, hanno spiegato gli esperti. Nonostante lo stato d’emergenza sia stato sollevato, adesso a Tokyo si può bere, ma soltanto da soli o in compagnia di un’altra persona. Per il Villaggio olimpico le regole saranno ancora più restrittive: l’alcol non sarà proibito – come pure era stato proposto – ma bisognerà consumarlo da soli e nella propria stanza. L’epoca delle feste leggendarie post-gara nei villaggi olimpici è finita col proibizionismo pandemico giapponese, che tenta in tutti i modi di mandare avanti queste Olimpiadi senza danni. Intanto, ieri a un atleta della nazionale ugandese è stato impedito l’ingresso in Giappone perché trovato positivo al test per il Covid.
I conservatori inglesi