oggi la conferenza in germania
Contano più i negoziati di pace a Berlino o le manovre sul campo in Libia?
L'Italia appoggia il governo unico e il piano di riconciliazione che porta alle elezioni, Ma i mercenari e i droni stranieri rimangono e il generale Haftar si muove nel sud del paese (e vuole più potere con il figlio Saddam)
Oggi a Berlino c’è una seconda Conferenza di pace sulla Libia, dopo la prima del 19 gennaio 2020. Ci sono i ministri degli Esteri di molti paesi coinvolti da vicino nelle vicende del paese africano, Italia inclusa, e rappresentanti di entrambe le parti libiche. Molte cose sono cambiate rispetto a un anno e mezzo fa. La guerra civile ora è sospesa grazie a un cessate il fuoco che dura da ottobre e le forze del generale Haftar che avevano attaccato la capitale Tripoli con l’idea di conquistarla in due giorni si sono ritirate. Si sono attestate su una linea difensiva che passa per Sirte e che all’incirca taglia a metà il paese. Infine: c’è un nuovo esecutivo diretto da Abdelhamid Dabaiba che dovrebbe gestire il paese e portarlo alle elezioni previste per il 24 dicembre. Il governo Draghi investe molto su questa visione della Libia, perché se il paese si stabilizzasse allora si potrebbe parlare di immigrazione e di investimenti delle aziende italiane su basi più solide. Italiani e libici parlano già molto di questi due dossier, ma se ci fosse un leader legittimo, eletto e riconosciuto in una Libia finalmente riunificata e non ci fosse un’altra guerra civile dietro l’angolo l’Italia sarebbe più tranquilla e ottimista.
La situazione è migliore rispetto alla prima Conferenza di pace a Berlino del gennaio 2020, ma non per merito della conferenza di pace: piuttosto perché nei mesi successivi i droni e i mercenari importati dalla Turchia in Libia hanno costretto alla fuga le brigate e i mercenari del generale Haftar. Sono state le brutte maniere, e non la diplomazia, a decidere la situazione sul campo. Questa seconda Conferenza di Berlino rischia di replicare lo stesso schema. I diplomatici europei oggi sono assieme ai dignitari libici per negoziare una bozza di accordo e ci saranno trattative speranzose, ma conta quello che succede sul campo. Per capire a che punto siamo è necessario guardare almeno tre elementi.
Il primo è la presenza sul terreno dei combattenti stranieri. Fino a quando la Turchia mantiene mercenari, droni e basi in Libia e fino a quando la Russia mantiene i suoi mercenari nella base di al Jufra e gli Emirati e l’Egitto appoggiano il generale Haftar allora vuol dire che la guerra potrebbe cominciare da un momento all’altro.
Il secondo è: il generale Haftar e il suo clan sono soddisfatti delle posizioni che hanno? La risposta è no. Haftar vuole una posizione di potere per lui e un ruolo di comando per il figlio Saddam, per ora non ha ottenuto nulla. E’ un uomo che ha rotto gli accordi precedenti e ha fatto cominciare una guerra civile poco più di due anni fa per diventare rais dell’intero paese, non si vede perché oggi dovrebbe ambire a qualcosa di meno. Non è la diplomazia a tenerlo buono per ora, è la consapevolezza che se si avvicina a Tripoli i turchi cominciano di nuovo a bombardare i suoi uomini.
Il terzo elemento è: cosa fanno le forze del generale Haftar. In questi giorni si stanno muovendo nel Fezzan, l’immenso e quasi spopolato sud della Libia. I fratelli Kani, leader di una milizia che spadroneggiava a est di Tripoli a Tarhuna fino all’anno scorso e che è accusata di aver massacrato centinaia di oppositori e di aver gettato i loro cadaveri in fosse comuni, sono stati avvistati con centinaia di veicoli armati vicino a Sebha, una città centrale del sud. Sono tutti spostamenti poco rilevanti che non sono notati, fino a quando sommati tutti assieme non fanno intuire un disegno diverso: era successo così nel 2019, quando le truppe di Haftar si erano spostate verso ovest senza molto clamore e poi si erano ammassate vicino a Tripoli. Siamo ancora lontani da quella situazione, ma c’è attività. Tra l’altro, dopo un anno di inattività lo Stato islamico ha rivendicato due attacchi proprio nella stessa regione, uno con un’autobomba guidata da un volontario non libico e domenica le forze di Haftar hanno annunciato di avere bombardato il bacino vulcanico di al Haruj, un labirinto roccioso e frastagliato che si estende per decine di chilometri nel mezzo del deserto libico. L’idea che gli aerei di Haftar abbiano sradicato le cellule dello Stato islamico dai loro nascondigli dentro al Haruj è realistica come l’idea di sparare colpi di pistola verso una nave e sperare di colpire i topi che si nascondono a bordo.
In questo contesto, l’Italia offre sostegno al governo di Dabaiba e fonti libiche parlano del prossimo arrivo di più soldati italiani a Tripoli e di un pacchetto di aiuti militari che includerebbe anche una consegna di elicotteri Leonardo non armati – per trasporto e operazioni di polizia. La Difesa non conferma. Ieri il capo di stato maggiore, Enzo Vecciarelli, era a Tripoli per parlare con il suo omologo libico Mohammed al Hadad (che Haftar non riconosce come legittimo).
Cose dai nostri schermi