In Inghilterra
Nel seggio che fu di Jo Cox
I conservatori rischiano di conquistare un altro pezzo di “muro rosso” stando fermi. Dentro al Labour c'è una resa dei conti sull'antisemitismo, i diritti e il voto della working class che ha creato “un circo orribile”
Insulti, spintoni, accuse, uova. A Batley and Spen, nel nord inglese, c’è un’elezione che spacca il Labour, richiama attivisti fascisti e contro i lgbt, e fa stramazzare le politiche identitarie
Batley and Spen è un collegio elettorale inglese del profondo nord che vota Labour dal 1997 e che alle suppletive del primo luglio potrebbe invece scegliere i conservatori – un altro pezzo del “muro rosso” che si colora di blu, l’ultimo esempio di uno scivolamento verso i Tory di quello che era l’elettorato laburista più fedele: la working class. Ma questa è solo una parte della storia: in questa circoscrizione di poco più di centomila abitanti si sta consumando quella che alcuni analisti hanno definito “la battaglia delle politiche identitarie”, minoranze contro minoranze, insulti, spintoni, accuse, molta tensione e molta paura. “Un circo orribile”, ha detto la candidata laburista, Kim Leadbeater. Tanta tensione qui mette più ansia che altro perché questo non è un posto qualsiasi: il 16 giugno del 2016 fu uccisa Jo Cox, deputata eletta l’anno precedente, da un concittadino, Thomas Mair, cinquantaduenne suprematista bianco con problemi psichici che, urlando “Britain first”, le tirò quindici coltellate, e due a un signore che cercò di fermarlo. Cox morì appena arrivata in ospedale, Mair è stato condannato all’ergastolo.
Al voto di giovedì si presenta anche Jayda Fransen, trentacinque anni, attivista di estrema destra, ex numero due del partito Britain First: fa delle ronde con la croce in mano in quelli che chiama “pattugliamenti cristiani” nei quartieri in cui abitano i musulmani. Qualche settimana fa, la Fransen si era candidata alle elezioni scozzesi nella circoscrizione della premier Nicola Sturgeon: aveva preso 46 voti. Ora è arrivata a Batley and Spen perché è una zona in cui convivono molte etnie diverse – nel suo discorso da neodeputata ai Comuni, nel 2015, Jo Cox aveva celebrato questa convivenza, la considerava una risorsa – e quindi è il posto perfetto per provocare, creare allarme e rabbia, rimestare in quel “Britain first” brutale. Le chance della Fransen sono bassissime, ma la sua sola presenza contribuisce ad accendere risentimenti e brutti ricordi.
Anche un altro dei volti più noti di questa contesa elettorale si è candidato in Scozia senza combinare nulla e poi è arrivato a Batley and Spen con la speranza non tanto di vincere lui quanto di far parlare di sé e soprattutto di far perdere il Labour. Si tratta di George Galloway, che a trenta minuti di automobile da qui, nel collegio di Bradford West, nel 2012 ottenne il suo risultato elettorale più importante vincendo le suppletive. Buona parte del suo successo fu dato dal voto dei musulmani ed è quel modello che oggi Galloway vuole ripristinare a Batley and Spen, facendo leva sulla propria storia di amico dei dittatori arabi, soprattutto di Saddam Hussein ma anche molto degli Assad siriani, e sulle sue campagne pro palestinesi. Sostenitore di Jeremy Corbyn, ex leader del Labour, ma anche di Nigel Farage, il falchissimo della Brexit, Galloway dice di essere il rappresentante non solo del voto musulmano ma anche della working class, quel pezzo di popolazione che non viene più aiutata da nessuno dei grandi partiti, men che meno dal Labour che in teoria e in passato ne era il rappresentante privilegiato. Poiché circa un adulto su tre a Batley and Spen è economicamente inattivo, il richiamo di Galloway suona in modo molto riconoscibile.
L’obiettivo è il Labour in generale, da cui Galloway era uscito e poi rientrato e poi riuscito, ma in particolare è il suo leader, Keir Starmer, che non se la sta passando benissimo (ha perso un’altra suppletiva importante a Hartlepool in maggio) e che è molto criticato dai suoi stessi compagni di partito. Rialza la testa, richiamata da Galloway, la fazione di Corbyn, che era stata messa a tacere dopo la sconfitta epocale alle elezioni del 2019 e dallo stesso Starmer che, una volta presa la leadership, ha cercato di riportare il partito verso il centro (un centro che comunque è, in occidente, molto più a sinistra di dov’era per dire dieci anni fa). Ma poiché queste sono delle elezioni in cui bisogna scontrarsi e provocarsi, l’accusa principale che viene rivolta a Starmer è quella di aver voluto fare chiarezza sull’antisemitismo dentro al Labour, mandando via gli elementi più estremi e dicendo che nel partito guidato da lui quella deriva sarebbe stata fermata con durezza. Così Galloway ha portato lo scontro a Gaza di qualche settimana fa al centro dei suoi comizi, tanto che alcuni elettori hanno detto sconsolati alla Bbc: qui ci si preoccupa di più dei palestinesi che di darci la possibilità di avere almeno una rotaia del treno funzionante.
Poiché abbiamo capito che nulla accade per caso, nello scorso marzo c’era stata una protesta in una scuola di Batley contro un insegnante che aveva mostrato in classe agli studenti, durante una lezione di religione, una vignetta satirica di Maometto presa da Charlie Hebdo. La scuola si era scusata, l’insegnante era stato sospeso durante l’indagine (non è ancora tornato), le proteste non si erano placate in fretta e anche se da Londra dicevano: si indagherà, ma gli insegnanti non devono essere minacciati, la paura è rimasta a lungo. L’allora deputata laburista Tracy Brabin (che è stata eletta sindaco di West Yorkshire: per questo c’è la suppletiva) era stata accusata dai conservatori di non aver preso le parti degli insegnanti in modo deciso. Quando domenica la Brabin è arrivata per fare campagna, è stata accolta da un gruppo di lanciatori di uova.
La neosindaca si era presentata per sostenere la candidata laburista, Kim Leadbeater, che è la sorella di Jo Cox. Quarantacinque anni, un sorriso contagioso che resiste anche quando si commuove, sportiva e solare, la Leadbeater è cresciuta qui in simbiosi con sua sorella – “eravamo sempre insieme, le Leadbeater”, ripete spesso – e dice di aver preso da lei l’ispirazione a candidarsi: Jo diceva che se non si mettono in gioco le persone con delle proposte e delle idee, allora poi non ci si doveva stupire dell’apatia nei confronti della politica. Così Kim Leadbeater ha deciso di candidarsi, ha un progetto di inclusione e unità – “vogliamo andare d’accordo” – e potrebbe essere lei a doversi sobbarcare la prima sconfitta laburista da moltissimi anni. E’ accusata di far parte della “lobby semita” del Labour e nonostante i messaggi di rassicurazione nei confronti dei musulmani (compreso un ultimo volantino che è stato molto ridicolizzato in cui Starmer dice che il partito è a favore dei giocatori che si inginocchiano in campo) non è riuscita a fare breccia nel muro costruito da Galloway (che quando era deputato aveva dichiarato Bradford West una zona “Israel free”). In più la Leadbeater è accusata di essere un’esponente della “lobby gay”: venerdì è stata aggredita verbalmente da un uomo che le ha detto che il suo sostegno per la causa Lgbt e per “l’indottrinamento a scuola” sugli omosessuali le sarebbe costato il voto di molti elettori. Si è poi scoperto che l’uomo è un attivista anti Lgbt che gira per molte città e naturalmente non si è fatto scappare l’occasione a Batley and Spen.
I sondaggi dicono che in testa c’è il candidato conservatore, Ryan Stephenson, che guida il partito locale e che ha fatto la campagna elettorale più attendista di sempre: ha cercato di evitare la Leadbeater il più possibile, perché a lui per vincere basta che continui la lotta interna al Labour. Ha ricevuto la visita del premier, Boris Johnson, che è andato in una fabbrica di biscotti e ha ripetuto che quel che vuole lui per questa contea, come per tutto il “muro blu” è l’investimento in istruzione e formazione: “Penso che una delle difficoltà del nostro paese – ha detto Johnson – è che c’è talento dappertutto, ma le occasioni non sono equamente distribuite”. E’ bastato questo messaggio positivo alla campagna di Stephenson: i laburisti sono troppo impegnati a litigarsi la working class, la leadership, le politiche identitarie per accorgersi che talento, istruzione, investimenti e speranza erano le parole di Jo Cox.