Contro Pechino Blinken invia a Taipei una super diplomatica
Adesso è a Taiwan che tutti guardano per capire le prossime mosse dello scontro Usa-Cina. E il Giappone che fa?
E' stata annunciata la nomina di Sandra Oudkirk come prossimo direttore dell’Istituto americano a Taiwan, che sin dal 1979 svolge le funzioni di sede diplomatica in un paese non tecnicamente riconosciuto come tale
L’America ha scelto la sua “ambasciatrice” a Taipei. Ieri è stata annunciata la nomina di Sandra Oudkirk come prossimo direttore dell’Istituto americano a Taiwan, che sin dal 1979 svolge le funzioni di sede diplomatica in un paese non tecnicamente riconosciuto come tale. Le relazioni di Taiwan con il resto del mondo sono piene di contraddizioni, proprio perché dagli anni Settanta in poi, con la sempre maggiore influenza della Repubblica popolare cinese nel resto del mondo, l’isola di Formosa ha subìto un progressivo isolamento diplomatico. A oggi soltanto 15 paesi al mondo riconoscono l’indipendenza di Taiwan e quindi ospitano una vera ambasciata nel proprio territorio. Tutti gli altri, compresa l’America, utilizzano delle formule ambigue e accettano la politica “di una sola Cina”, quella che impone per esempio la presenza, anche nelle sedi internazionali, soltanto dei rappresentanti di Pechino, e non di quelli di Taiwan, che Pechino considera proprio territorio. Ma con la nuova amministrazione guidata da Joe Biden, e con un segretario di stato come Tony Blinken che ha assunto una posizione molto anticinese, qualcosa si sta muovendo. Di certo non sul piano formale, ma di sicuro dal punto di vista comunicativo. L’importanza di Taiwan nella politica estera americana, che rappresenta la frontiera diplomatica nei paesi dell’Asia orientale, è stata ben visibile ieri quando la nomina di Sandra Oudkirk è stata salutata come si fa con la nomina di un nuovo ambasciatore. Sono finiti i tempi in cui le relazioni tra Washington e Taipei venivano coltivate all’ombra, senza grandi proclami, proprio per non urtare la Cina.
Oudkirk prende il posto di Brent Christensen, che era il direttore della de facto ambasciata americana sin dal 2018, e il suo background dice molto anche sul futuro dei rapporti tra America e Cina. Diplomatica di carriera, parla fluentemente il mandarino e il turco, che è la lingua dominante anche tra gli uiguri dell’area dello Xinjiang. Tre mesi fa, quando era ancora viceassistente del segretario di stato per l’Australia, la Nuova Zelanda e le isole del Pacifico, è intervenuta a una tavola rotonda organizzata dal think tank ultraconservatore Heritage Foundation e ha elogiato il riavvicinamento tra Washington e Taipei iniziato dall’ex segretario di stato Mike Pompeo e continuato da Blinken. Il primo segnale è stato l’aggiornamento delle linee guida di comportamento dei funzionari pubblici americani quando si tratta avere rapporti con le controparti taiwanesi. Fino a tre mesi fa, per fare un esempio, nessun rappresentante americano poteva entrare a Twin Oaks, la villa rinascimentale a nord ovest di Washington che un tempo era la residenza dell’ambasciatore taiwanese negli Stati Uniti, e oggi è usata come ambasciata de facto di Taipei. Blinken ha continuato il lavoro di Pompeo liberalizzando tutti i contatti tra funzionari americani e taiwanesi – gli statunitensi non potranno partecipare solo alla festa del dieci ottobre, quella di fondazione della Repubblica di Cina.
La “riscoperta”, da parte americana, dei rapporti con Taiwan arriva in un momento strategico: Pechino negli ultimi mesi ha aumentato la retorica militarista, e anche le provocazioni nello stretto di Formosa. Sulla scia di questa alleanza internazionale di democrazie anticinesi proposta da Biden, anche il Giappone ultimamente ha rinnovato l’alleanza con Taiwan. E’ stato il primo paese a donare a Taipei migliaia di dosi di vaccini, e l’altro ieri il vicepremier Taro Aso ha detto, durante un’intervista, che “se Taiwan dovesse subìre un attacco il Giappone e l’America dovrebbero difendere insieme Taiwan”. Perché tutti gli equilibri ruotano intorno a questo dilemma: se Pechino farà o no il passo di mettere i boots on the ground sull’isola, e chi andrebbe a difendere Taiwan da una eventuale invasione, ingaggiando una guerra con la seconda economia del mondo che negli ultimi anni è cresciuta enormemente sul piano bellico. Dopo le dichiarazioni di Aso, la Cina ha replicato tramite il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian : “Non permetteremo a nessuno di intervenire nella questione taiwanese”. Più colorito Hu Xijin, direttore del tabloid del Partito comunista cinese Global Times, che ha detto: “Il Giappone farebbe meglio a stare alla larga”. Sandra Oudkirk è l’arma diplomatica di Blinken in Asia orientale, il volto di una politica estera ormai sfacciatamente anticinese: ieri il segretario di stato nel giro di poche ore ha fatto gli auguri di compleanno al Dalai Lama su Twitter e ha incontrato alcuni sopravvissuti dei campi di lavoro nello Xinjiang. Un messaggio chiaro per Pechino.