EPA/MARISCAL

Cuba chiama i “rivoluzionari comunisti” contro le proteste popolari

Maurizio Stefanini

La situazione è degenerata domenica, tra boom di contagi e disordini sociali. Non c'è più Fidel, Díaz-Canel non ha carisma: il paradosso è che la crisi più grave degli ultimi vent'anni contro la Revoluciòn parte dall'invidiato settore sanitario (che aveva annunciato ben 5 vaccini anti Covid)

Il regime cubano ha annunciato di aver avuto successo nella sua battaglia per i vaccini, e subito non solo la situazione del Covid sull’isola è andata fuori controllo, ma il disastro ha innescato una protesta di piazza di dimensioni inedite. “Libertà!”, “il popolo muore di fame!”, “basta bugie!”, “abbasso la dittatura!”, “non abbiamo paura!”, sono alcuni degli slogan gridati da migliaia di persone da un capo all’altro dell’isola. E anche “Patria e vita!”, il titolo del rap il cui successo su YouTube ha scatenato quella repressione del regime contro artisti e intellettuali che è stata ribattezzata “Primavera nera”. Invece che bloccarsi, però, la mobilitazione si è estesa, alimentata da quella straordinaria anomalia che per una dittatura è rappresentata da un sistema dei social relativamente libero. Via Internet i cubani hanno lanciato appelli e via Internet sono state anche diffusi i video delle marce. Non sono mancati i saccheggi nei negozi in cui la nomenklatura può procurarsi beni preclusi alla maggior parte dei cubani.

 

Non si vedevano manifestazioni del genere dai tempi del Maleconazo: il 5 agosto del 1994, l’esasperazione per le penurie seguite alla fine dei sussidi sovietici portò ai saccheggi e alle sassate agli agenti al Malecón dell’Avana, una delle vie più famose della città. Ma allora Internet non c’era, e il resto dell’isola non seppe quello che stava accadendo in una zona pur emblematica della capitale. In più Fidel Castro aveva ancora il suo carisma, e gli bastò parlare ai manifestanti per calmarli. Ma Fidel nel frattempo è morto, il fratello Raúl non ha più cariche e non è più in condizioni fisiche per affrontare una folla, e il carisma del nuovo leader, Miguel Díaz-Canel, è nullo. Infatti la sua risposta è stata innanzitutto quella di far tagliare non solo Internet in tutta l’isola ma addirittura la luce nelle aree più agitate. Poi ha fatto un discorso in cui ha invitato i “rivoluzionari comunisti” ad “affrontare con decisione queste provocazioni”, chiamando in pratica alla guerra civile. Infine ha mandato in strada le Boinas Negras, temutissimi reparti d’élite d’urto delle forze armate.

 

 

L’evoluzione è tanto più sorprendente in quanto a fine giugno il regime aveva annunciato una piena vittoria nella battaglia contro la pandemia, il più piccolo paese al mondo a sviluppare un vaccino anti Covid. Si parlava di ben cinque prodotti, tra cui Abdala, con una efficacia del 92,2 per cento, e Soberana 02 col 62 per cento. “Sul vaccino Cuba batte Italia uno a zero”; “Così Cuba prende a pugni il Covid”; “Così Cuba vince la scommessa più difficile”: sono alcuni dei titoli entusiastici con cui la notizia era stata proclamata sulla stampa italiana. Per non parlare delle proposte di assegnare un Nobel per la Pace alle Brigate mediche mandate anche da noi. Dall’inizio di luglio però la situazione della pandemia ha iniziato a degenerare. In realtà Abdala è massicciamente testato in Venezuela, con lamentele da parte dei medici locali secondo i quali Nicolas Maduro avrebbe offerto i  cittadini venezuelani come cavie agli alleati. Ma i social hanno preso per vero le vanterie del regime, chiedendo in pratica: ma perché vaccini e Brigate mediche invece di mandarle all’estero non le impiegate qua?

 

La protesta è iniziata domenica. Con 6.923 nuovi casi e 47 morti in 24 ore, era stato il terzo giorno di fila in cui veniva passata quota 6.000 dei contagi, e il decimo giorno di fila in cui veniva battuto il record del giorno precedente. Pandemia a parte, il quadro è delicato perché l’anno era iniziato con una riforma economica e valutaria che ha fatto crescere il costo della vita in modo drammatico. Il crollo del turismo ha poi fatto venire meno una importante fonte di entrate informali che serviva a molti cubani per sopravvivere. E comunque le attività informali in genere sono sempre più ostacolate dal tipo di controlli resi necessari dalla pandemia. Gran parte dei paesi latino-americani ha in effetti avuto problemi del genere, ma quasi tutti hanno distribuito ristori e sussidi. Cuba si è limitata a sistemi di cassa integrazione, che hanno ridotto il potere d’acquisto  mentre i prezzi salivano.

 

Dal Cile alla Colombia e al Perù, anche in altri paesi la necessità di fare manovre economiche in clima di pandemia ha portato a dure proteste. Nel caso di Cuba si aggiunge però il fatto che resta un sistema a partito unico, in cui i governanti ignorano la negoziazione per principio.
 

Di più su questi argomenti: