Nel Chiapas fuori controllo in cui è stato ucciso Michele Colosio
L'ultima vittima, degli 80mila assassinati negli ultimi tre anni, è un ex radiologo italiano. Tra violenza, pandemia e governo in tilt: in alcune zone del paese sono stati i narcos a imporre il lockdown
Aveva 42 anni, era nato a Borgosatollo, aveva lavorato nell’ospedale di Brescia come tecnico di radiologia, da dieci anni stava nel Chiapas. Allevava animali da cortile in un piccolo podere e progettava interventi per l’istruzione di bambini poveri. A San Cristóbal de Las Casas, Michele Colosio è stato ucciso con quattro colpi di pistola da un uomo in motocicletta verso le 22 locali, le 5 italiane. Secondo alcune fonti, mentre andava a fare la spesa. Secondo altre, mentre tornava da una festa per la vittoria azzurra agli Europei.
“Non meritava di fare questa fine, era andato là solo per fare del bene”, ha detto sua madre. “La povertà diffusa e l’impunità hanno trasformato questa bella città in un inferno”, ha scritto su Facebook la Casa de Salud Yi ‘bel Ik‘ “Raíz del Viento”, la comunità presso cui lavorava. “Artigiano, viaggiatore, pastore di capre, contadino, sellaio, meccanico di bicicletta e tutto quello che gli veniva in mente di imparare, Michele nella sua gioventù ha studiato e lavorato come radiologo in un ospedale e il suo cuore e le sue conoscenze lo hanno avvicinato alla nostra Casa”. Una ipotesi è che avesse potuto urtare gli interessi di gente pericolosa. Un’altra è che si sia trattato di una rapina finita male. Soccorso immediatamente, è morto in ospedale.
Per lui è stata organizzata una fiaccolata in bicicletta al grido di: “Basta de violencia”. Si raccomanda anche “di usare le mascherine e di mantenere il distanziamento”. C’è forse una punta di polemica verso il governo di Andrés Manuel López Obrador, un presidente di sinistra che sul Covid ha avuto una linea seminegazionista da destra alla Trump o Bolsonaro: in alcune zone del Messico sono stati i narcos a imporre il lockdown.
Nello stato la violenza è in crescita continua. Mercoledì scorso un gruppo armato autodefinitosi “Los Ciriles”, come il “Cirillo” sparatore di un famoso cartone animato ispanico, si era messo a sparare su tutti coloro che passavano per la strada da Pantelhó a San Cristóbal de las Casas, e a Pantelhó persone armate erano entrate in varie case sequestrando alcuni abitanti. Il giorno dopo elementi delle forze dell’ordine intervenuti a ristabilire l’ordine erano stati accolti a fucilate. Pure mercoledì scorso uomini armati avevano sparato contro due veicoli nel capoluogo Tuxtla Gutiérrez, facendo altri quattro morti. Due giorni prima un catechista era stato freddato a colpi alla testa in un mercato de Simojovel, Altos de Chiapas, di fronte al figlio.
Non è che il Chiapas sia un’isola di violenza nel contesto messicano. Ben 68 difensori dei diritti umani e 43 giornalisti sono stati assassinati da quando López Obrador si è insediato alla presidenza, il primo dicembre 2018. A renderlo noto è stato il ministero dell’Interno, secondo cui sarebbero 1.478 gli attivisti dei diritti umani e giornalisti sotto protezione. Lo ha fatto dopo che il giornale Reforma aveva pubblicato una lista del genere, in cui le vittime erano solo 56. Il presidente ha parlato di “propaganda ostile”, e ha ripetuto che non solo il suo governo non è direttamente responsabile, ma che si sforza per tutelare chi è in pericolo. Secondo vari osservatori, il presidente starebbe lasciando agire i cartelli indisturbati per quieto vivere. Gli 80 mila omicidi dall’inizio del suo mandato hanno comunque già superato le cifre dei suoi ultimi due predecessori.