Il trattato franco-italiano è più vicino con Draghi e Mattarella
Dopo anni difficili, il rapporto fra Roma e Parigi nell'ultimo anno si è ristabilito. Il governo Draghi e la recente visita del presidente della Repubblica dimostrano un ulteriore avvicinamento fra i due paesi, con la volontà espressa di chiudere l'accordo bilaterale entro la fine del 2021
La recente visita di Sergio Mattarella a Parigi è stato un successo indiscusso per il presidente della Repubblica italiana. Il discorso che il presidente italiano ha pronunciato nell’aula magna della Sorbona rappresenta un punto alto del suo mandato per la politica estera, con delle prese di posizioni nettissime sull’opportunità e la necessità di una maggiore integrazione europea e sul contributo che porterà un trattato bilaterale fra Italia e Francia, anche opponendosi a nazionalismi storicamente datati. Facendo eco al discorso pronunciato da Emmanuel Macron nello stesso luogo nel 2017, Sergio Mattarella propone una visione ampia e concreta delle dinamiche italiane ed europee, imprescinidibili. Dopo anni difficili il rapporto fra Roma e Parigi nell’ultimo anno si è ristabilito e la nomina di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio ha ulteriormente migliorato le relazioni che oggi sembrano eccellenti, un momento che ricorda per certi versi l’arrivo al potere di François Mitterand nel 1981 e il sodalizio con il governo Spadolini.
Anche per evitare momenti di alti e bassi nelle relazioni bilaterali, il presidente Sergio Mattarella ha insistito a Parigi sulla necessità di portare a conclusione la firma di un trattato di cooperazione rafforzata fra Italia e Francia, dando una chiara interpretazione dell’agenda di politica estera nel contesto europeo. Ed è questo che colpisce se si guarda al recente viaggio in Francia di Sergio Mattarella, ma anche alle azioni compiute nell'arco del mandato presidenziale. La politica europea, che include il miglioramento delle relazioni con il partner francese, non rappresenta un astratto concetto culturale, ma un indirizzo molto forte che la presidenza della Repubblica ha spinto con costanza durante l’ultimo mandato, anche ricordando la visita di Mattarella a Chambord del maggio 2019, in controtendenza rispetto alle politiche del governo dell’epoca. La presidenza della Repubblica italiana appare per tanti aspetti non soltanto garante della continuità dell’impegno europeo italiano, ma anche come un centro di potere capace di indirizzarne le evoluzioni, ad esempio nel contesto dei rapporti fra Italia e Francia.
La nomina di Mario Draghi come presidente del Consiglio si inserisce anche dentro questa visione di rinforzamento di un europeismo italiano concepito come capacità trasformativa sia interna che esterna. Da questo punto di vista la presidenza di Sergio Mattarella appare estremamente rilevante, in quanto illustra un alto paradigma dell’attività della presidenza della Repubblica italiana in materia di collocazione internazionale del paese. Il confronto con quella francese, naturale dopo la risposta europeista al discorso di Emmanuel Macron in Sorbona, fa apparire alcuni paradossi. Al presidente francese è stata conferita sempre una larga fetta di poteri esecutivi, quel “dominio riservato” teorizzato da De Gaulle in poi che vede le materie di politica estera e di difesa, di competenza pressoché unica della presidenza. Macron era arrivato al potere con grandi dichiarazioni di europeismo: ci sono state parecchie disillusioni, anche dal lato italiano. Ma la solidità del rapporto fra Francia e Germania ha comunque permesso alla presidenza francese di giocare un ruolo rilevante nel contesto della pandemia. La presidenza Macron illustra quanto il rapporto con la Germania rappresenti un ancoraggio europeo fondamentale per la Francia.
La presidenza della Repubblica italiana non ha gli stessi poteri esecutivi di quella francese. Però possiamo rilevare come tramite l’indirizzo politico e scelte cruciali nel contesto delle crisi di governo, Sergio Mattarella è riuscito a promuovere con grande efficienza la sua visione europeista. La questione del trattato bilaterale con la Francia viene quindi ad intrecciarsi fra il costante indirizzo di promozione europeo voluto da Sergio Mattarella e il riconoscimento di un meccanismo dal quale l’Italia ha potuto beneficiare in modo indiretto, se pensiamo al ruolo franco tedesco nel piano di rilancio europeo.
Bisogna ricordare la genesi di questo progetto. L’idea fu proposta da Emmanuel Macron nel contesto del vertice bilaterale del 2017 con il governo Gentiloni, per poi essere ufficialmente lanciata nel gennaio 2018 con la nomina di un gruppo di saggi composto da Giorgio Bassanini, Marco Piantini e Paola Severino per la parte italiana, mentre Pascal Cagni, Sylvie Goulard e Gilles Pécout erano stati designati da Parigi. L’importanza degli screzi avvenuti fra Parigi e Roma subito dopo l’entrata in funzione di Emmanuel Macron alla presidenza (Stx-Fincantieri, problemi di migrazioni e situazione in Libia) aveva spinto la presidenza francese a proporre un meccanismo che potesse istituzionalizzare il rapporto fra Italia e Francia in un modo paragonabile a quello franco-tedesco. Ma il ciclo politico successivo, quello delle politiche del 2018, aveva in qualche modo ampliato il divario italo-francese, diventato poi anche un posizionamento nel contesto domestico, e con il governo Conte 1 l’iniziativa era caduta nell’oblio.
Con il governo Conte 2 e dopo il vertice di Napoli del 2021 la questione del trattato era tornata in ballo. Lo scenario attuale, quello del governo Draghi e della visita di stato di Mattarella a Parigi, illustra un ulteriore avvicinamento fra i due paesi con la volontà espressa di chiudere il trattato bilaterale entro la fine del 2021, anche per approfittare di un ciclo politico non completamente fagocitato da altre poste in gioco come le future presidenziali francesi. In modo imprevisto la Brexit sta anche spingendo a un’accelerazione delle dinamiche di integrazione dell’Unione e ciò offre una paradossale posizione di opportunità per l’Italia, che può affermare il proprio ruolo in un contesto reso più continentale. L’Italia si deve adattare a questo scenario anche da un punto di vista metodologico. L’idea di sviluppare relazioni bilaterali strutturate all’interno della politica europea è alquanto estranea alla cultura diplomatica che ha investito molto sulla scala comunitaria e che analizzava il rapporto fra Berlino e Parigi come un “asse” che l’avrebbe di fatto esclusa. Si tratta quindi di un rigetto del metodo bilaterale ma anche di una percezione negativa del rapporto franco-tedesco. La storia dell’Unione illustra però altri paradigmi con un rapporto franco tedesco come luogo permanente di mediazione, e non di conventio ad excludendum, che contribuisce al buon funzionamento del livello comunitario, diventandone un motore essenziale. L’Italia ha quindi oggi l’opportunità di aggiungere un proprio cilindro a quel motore.
Il gruppo dei saggi che nel 2018 aveva lavorato per alcuni mesi su un progetto di trattato bilaterale, esprimeva un’altissima capacità di visione politica e di competenza. Il rilancio del lavoro sul trattato bilaterale avvenuto nel 2020 ha visto le diplomazie all’opera, amministrazioni che spesso risultano legate a riflessi burocratici nazionali. Inoltre, la questione del modello rappresentato dai trattati franco-tedeschi (quelli dell’Eliseo poi rinnovati ad Aquisgrana) è sempre stata al centro di valutazioni contraddittorie: se da un lato si riconosce le qualità dell’istituzionalizzazione dei rapporti fra Francia e Germania, dall’altro alcuni in Italia hanno spesso rivendicato la specificità del rapporto fra Italia e Francia che dovrebbe portare a non plasmare il modello franco-tedesco. Queste considerazioni sono però problematiche, in quanto l’esperienza pluridecennale del rapporto franco-tedesco permette di sottolineare le qualità dell’impianto istituzionale fra i due paesi, ovvero sia gli enormi vantaggi ad aver creato delle istituzioni stabili dove governi, parlamenti e alta dirigenza pubblica effettuano degli scambi in modo continuativo. La questione delle missioni da dare al rapporto è altrettanto importante ma gli osservatori insistono nel riconoscere la bontà di meccanismi che permettono a un personale di matrice politica e culturale diversa di poter conoscersi e regolare le proprie relazioni a beneficio di una sintesi che spesso si impone in Europa.
Il rapporto fra Francia e Germania è nato da una volontà politica di remissione dopo le macerie della guerra. Ma non bisognerebbe sottovalutare la profondità delle divisioni fra Italia e Francia, endemiche dagli anni 2000 in poi, e che hanno bisogno di forme di meccanismi di convergenza e di remissione, come ben illustrato nel ciclo 2017-2019. Da questo punto di vista sarebbe quindi molto sano copiare alcuni impianti già esistenti nel contesto franco-tedesco per assicurarsi che l’istituzionalizzazione del rapporto bilaterale italo-francese diventi una cinghia di trasmissione permanente fra Roma e Parigi, contribuendo a rinforzarne le posizioni nel contesto dell’Unione. Poi si può anche pensare a una serie di progetti e settori da enunciare nel testo del trattato; le cooperazioni già in atto nella ricerca per esempio, l’università, l’industria. C’è soltanto l’imbarazzo della scelta. Il rapporto franco-tedesco insegna anche l’importanza dell’insegnamento delle lingue e delle politiche culturali, una dimensione che non deve essere sottovalutata nel contesto italo-francese. L’uso estensivo dell’inglese da entrambe le parti può essere simbolo di una perdita di capacità cognitiva comune che andrebbe contrastata, per tornare a rinforzare l’Italiano in Francia e il francese in Italia, anche al nome dell’eccezionale patrimonio culturale e storico comune.
Le amministrazioni nazionali italiane e francesi possono apparire in competizione e hanno spesso tendenza a ingaggiare aspre lotte su aspetti tecnici, anche lì un segno delle rivalità latenti. Bisogna però avere come priorità l’essenza del discorso del presidente Mattarella a Parigi, una visione politica che fa corrispondere cultura comune e azione politica. Ci possiamo quindi augurare che il messaggio politico europeista mandato dal presidente italiano, e ben accolto dal presidente francese, possa ispirare e contaminare i governi italiani e francesi; per dare una linea chiara alle rispettive burocrazie impegnate a negoziare un testo ambizioso che non può e non deve giocare al ribasso rispetto all’impianto franco-tedesco.