l'attacco del presidente
Biden vs Facebook: “Stanno uccidendo la gente”
Dal morbillo al Covid. Così la propaganda No vax è uscita dalla sua solita bolla
Lo scontro tra Joe Biden e Facebook ce lo aspettavamo ed è arrivato. Il terreno è quello, più arroventato possibile, del vaccino. Nei paesi dove il piano di immunizzazione è partito a gran velocità, come gli Stati Uniti, il problema è presto diventato che tutti quelli che lo volevano lo avevano già ricevuto e bisognava trovare il modo di convincere gli indecisi, i distratti, se non i veri No vax. È stata presa in considerazione anche l’ipotesi di offrirgli cento dollari ciascuno, e poi quella di andarci a parlare “casa per casa”. Il rallentamento è frustrante, e con la risalita dei contagi diventa preoccupante.
È infatti a quel punto che Biden dice l’indicibile sulla società di Mark Zuckerberg: “Stanno uccidendo la gente”. I social sono l’unica infrastruttura su cui possano ancora viaggiare spedite le teorie No vax e lo scetticismo sui vaccini, ma se oggi questa è la priorità del presidente è perché “la sola pandemia che abbiamo ora è quella che colpisce i non vaccinati”. I problemi sono tanti e per attribuire le colpe serve andare con ordine.
Negli Stati Uniti esistono un’infinità di gruppi Facebook dedicati ai genitori che vogliono crescere i figli “in modo naturale”. A prescindere dalla vacuità di una simile definizione, la maggioranza di questi sono relativamente innocui. Male che vada ti consigliano un antizanzare “senza chimica” che non funziona o ti rendono la vita un inferno spiegandoti che devi fabbricarti in casa un pannolino speciale da riutilizzare — se non vuoi sentirti in colpa — almeno un milione di volte. Poi arriva l’algoritmo dei “suggeriti per te” che, se sei per i rimedi naturali nella vita di tutti i giorni, ti propone anche contenuti un po’ scettici sui farmaci dei quali sarebbe meglio non abusare. Se accetti e clicchi, presto sarai il destinatario anche di post e pagine apertamente No vax. A queste, oltre agli automatismi dell’algoritmo, Facebook ha fornito dei servizi micidiali. I gruppi di antivaccinisti sbarcavano sui principali siti di crowdfunding e raccoglievano migliaia di dollari di donazioni da versare alla piattaforma per mettere in piedi campagne di sponsorizzazione. Queste prevedevano la profilazione degli utenti al fine di scovare i genitori che — tra quelli “naturisti” — per esempio avevano amici con figli autistici, il che li avrebbe resi più sensibili ai post che correlavano i vaccini all’autismo.
Facebook ha cambiato registro solo nel 2019, l’anno di due epidemie di morbillo in cui sono morti 87 bambini. Come ha sottolineato Renee DiResta, esperta dello Stanford Internet Observatory: “Hanno iniziato a reprimere, hanno tolto a quei gruppi la possibilità di essere suggeriti dall’algoritmo e hanno smesso di accettare da loro i pagamenti per gli annunci sponsorizzati”. Arrivando a oggi, ancora secondo DiResta, la pandemia e il fatto che la ricerca del vaccino e poi il suo utilizzo fossero in cima all’agenda globale ha permesso ai No vax di uscire dalla propria bolla. Questo nonostante Facebook, pur continuando a rappresentare il principale megafono, non fosse più i loro eden e avesse già dato inizio alle ostilità. Bisogna tenerne conto per capire se davvero, e in che misura, quelli di Facebook “stanno uccidendo la gente”.
La chance di uscire dalla bolla è stata innanzitutto rappresentata dal fatto che un tema di nicchia fosse improvvisamente diventato quello sulla bocca di tutti. In più si poteva approfittare di difetti ed esitazioni della comunicazione istituzionale, dello scetticismo più sottile e difficilmente censurabile promosso dagli influencer quando uscivano le notizie su AstraZeneca e i ripensamenti sulle fasce di età, quando gli istituti e i governi dei paesi occidentali dicevano cose molto diverse contemporaneamente. Un contesto ambientale che, almeno per un attimo, ci ha resi tutti un po’ più simili ai genitori che frequentano i gruppi per crescere i figli “in modo naturale”.
Se questo è un pezzo di verità, e non sarebbe onesto attribuire a Facebook ogni colpa, l’altro pezzo riguarda il concetto di “asimmetria della passione” nella comunicazione online. Facebook premia le emozioni forti, le reazioni esaltate o indignate. Un comunicato chiarificatore di un’autorità competente non può sperare di guadagnarsi altrettanta risonanza. A prescindere dalle restrizioni specifiche imposte ad alcuni gruppi, tra la prosa del guru appassionato e quella di un professore di logica l’algoritmo non ha mai avuto e non avrà mai dubbi su chi premiare e chi punire. E questo, in generale, può avere conseguenze concrete.