L'oscura Forza che ha reso la Cina una cyberpotenza
Internet e spazio. Come funziona la “Forza di supporto strategico” dell'Esercito popolare di liberazione voluta da Xi Jinping
Nuove accuse di hackeraggi da parte degli Stati Uniti, questa volta contro oleodotti e gasdotti. La Cina si difende: siete voi che ci spiate. Ma negli ultimi anni Pechino ha dato nuova priorità politica, tecnologica e strategica alle informazioni
Durante la consueta conferenza stampa al ministero degli Esteri cinese, ieri il portavoce superfalco Zhao Lijian ha risposto a una domanda della tv di stato dicendo che l’America non può accusare la Cina di condurre attacchi informatici perché “non è credibile”: “Gli Stati Uniti sono la fonte maggiore di cyberattacchi subiti dalla Cina, circa il 53 per cento”. Lunedì scorso l’America e i suoi alleati, tra cui Regno Unito, Giappone, Unione europea e Nato, hanno inviato un messaggio coordinato, inedito e chiaro sul “comportamento irresponsabile” della Repubblica popolare cinese nello spazio cibernetico. Ieri l’Amministrazione Biden ha diffuso ulteriori dettagli sugli attacchi di attori riconducibili alla Cina che hanno attaccato compagnie americane di oleodotti e gasdotti. Quando si sente accusata, Pechino usa quasi sempre la strategia di invertire le accuse: se volete l’origine del virus indagate a Fort Detrick, il laboratorio militare del Maryland; i diritti umani andateli a cercare tra gli afroamericani; non siamo noi, ma voi a condurre questa guerra cibernetica. In realtà, nessuno più della Cina ha mai concentrato tanti sforzi politici, tecnologici e militari per sviluppare un sistema di raccolta di informazioni così sistematico, integrato ed efficace.
Di pari passo con l’incremento degli armamenti e della forza militare cinese, Pechino ha riorganizzato le sue Forze armate dando priorità alla cosa più importante di tutte: le informazioni. Questo passaggio, considerato fondamentale tra gli analisti e i pechinologi nella costruzione della nuova Cina come superpotenza, è arrivato nel 2015, quando si inizia a parlare di riforma delle Forze armate. L’anno successivo viene fondata l’oscura Forza di supporto strategico dell’Esercito popolare di liberazione (abbreviata in Plassf), e pochi mesi dopo il leader Xi Jinping va in visita al comando delle operazioni coordinate della Commissione militare centrale, di cui è presidente, e si fa dare il titolo di “comandante in capo”. In quell’occasione si presenta in mimetica, un’anomalia nel cerimoniale cinese, un modo per dire che la leadership avrà sempre più potere sugli obiettivi delle Forze armate cinesi. Ma se navi da guerra, sottomarini e caccia servono alla deterrenza, ad avere un ruolo fondamentale nei successivi passi della Cina è la Forza di supporto strategico, che è l’unità che raccoglie le informazioni. Si divide in due dipartimenti: quello che si occupa dello spazio virtuale e quello che si occupa dello spazio fisico. Il primo lavora con la rete internet: monitora le telecomunicazioni, ruba informazioni, spia. Il secondo dipartimento è quello che lavora con l’Agenzia spaziale cinese, usando la fitta rete di satelliti cinesi, per esempio quelli usati per il sistema di posizionamento BeiDou – un’alternativa al Gps americano che è diventato completamente operativo nel 2020. Ju Qiansheng, comandante della Forza di supporto strategico, all’inizio di luglio è stato promosso generale.
Secondo diverse aziende di cybersicurezza, come CrowdStrike e FireEye, oggi la Cina ha un sistema integrato di raccolta d’informazioni molto più efficace di quello russo, che ha le risorse (e la tradizione) ma si affida ancora all’intelligence umana e ai mercenari dell’hackeraggio, con molta meno tecnologia. Il phishing resta uno degli attacchi più usati, scrive il New York Times, ma esistono nuove forme di infiltrazione sconosciute, come quelle che hanno permesso di bucare la sicurezza del servizio di posta di Microsoft e quello Vpn di Pulse.