L'accordo sul Nord Stream 2 è un regalo a Putin e Kiev si sente lasciata sola

Micol Flammini

Non basta un avvertimento a Mosca per tranquillizzare l'Ucraina, che adesso conta le promesse disattese da Biden e da Merkel. Per gli Stati Uniti il gasdotto era ormai un dato di fatto, ma nell'intesa non ci sono vere tutele per i suoi alleati dell'est che continuano a percepire la minaccia russa

Prima di partire per Washington la scorsa settimana, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, aveva detto che avrebbe parlato con Joe Biden soprattutto di Ucraina. L’incontro era stato organizzato per discutere della costruzione del gasdotto Nord Stream 2, che collega la Russia alla Germania e che per Mosca rappresenta un  affare. Il presidente americano ha molto a cuore le sorti di Kiev, da vicepresidente, durante l’Amministrazione Obama, aveva curato personalmente il dossier ucraino  mentre il paese, nel 2014, cercava la sua strada verso la democrazia e verso l’Europa. Quindi nel governo ucraino, che si oppone alla costruzione del gasdotto, c’era la speranza che Biden avrebbe tenuto ben presente quali paure il progetto rappresenta per Kiev. 

 

 

Dell’incontro alla Casa Bianca sappiamo che i due leader non sono andati d’accordo su tutto – “gli amici la pensano spesso in modo diverso”, aveva detto Biden in conferenza stampa – ma devono aver trovato il modo di capirsi proprio su un punto: il gasdotto è ormai cosa fatta, adesso bisogna dirlo all’Ucraina. Quando mercoledì è stato annunciato l’accordo tra Washington e Berlino, che ha messo fine ai tormenti del cantiere nel Baltico, i primi a protestare sono stati proprio gli ucraini,  per i quali  l’intesa più che una tutela rappresenta un tradimento. Le loro paure sono motivate, nell’accordo Berlino si impegna a imporre sanzioni a Mosca nel caso in cui con le sue politiche energetiche dovesse mettere in pericolo gli alleati degli americani. Ma per il Cremlino questa clausola rappresenta poco più che un avvertimento. Il Nord Stream 2 è una minaccia all’economia di Kiev che per anni è stata la porta di accesso del gas russo in Europa e le tasse di transito costituiscono circa il 3 per cento del suo pil. Il nuovo gasdotto nel Baltico, darebbe alla Russia la possibilità di evitare l’Ucraina. Nell’accordo con Washington Berlino si impegna ad aiutare economicamente Kiev – per transizione ecologica e migliorare le sue infrastrutture – e dovrebbe nominare un inviato speciale per aiutarla a negoziare un’estensione dei suoi accordi di transito con la Russia oltre il 2024. Il ministero degli Esteri russo ha fatto sapere che se ci sarà domanda, il transito continuerà, ma è naturale che l’Ucraina continui a fidarsi poco delle promesse di Mosca, che, nonostante continui a rappresentare una minaccia per la regione, è la vera vincente di questo accordo, oltre alla Germania. Il presidente russo, Vladimir Putin, al telefono con la Merkel, ha elogiato dopo l’intesa la “dedizione costante” con cui Berlino ha lavorato al gasdotto, ha anche detto che si tratta di un progetto “strettamente commerciale”, ma per Kiev è difficile fidarsi di una nazione minacciosa e  ostile e ha chiesto di incontrare i rappresentanti europei e americani. 

 

Prima che l’accordo venisse reso noto, Politico aveva pubblicato un’indiscrezione secondo la quale Washington aveva detto agli ucraini di stare tranquilli, perché ormai il gasdotto è un “fatto”, ora si può solo pensare alle tutele. Per placare la situazione, Biden ha istituzionalizzato l’invito alla Casa Bianca per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky qualche ora prima che arrivasse l’intesa. Zelensky ha detto che andrà a Washington il 30 agosto e che continuerà a discutere con il presidente il Nord Stream 2. Ma ormai tornare indietro è fuori discussione: ancora una volta le promesse fatte a Kiev sono state disattese da parte della Germania e anche degli americani. 

 

La soluzione della crisi ucraina è la promessa che Unione europea e Stati Uniti continuano a fare e a rimandare. Ora chiedono all’Ucraina di fidarsi, di stare tranquilla, senza tenere conto che per il paese che da est si sente minacciato dalla Russia, che dal 2014 ha visto sparire una parte del suo territorio ( la Crimea annessa alla Russia) e che ha una guerra che si combatte nei suoi confini tra esercito regolare e separatisti filorusso aiutati da Mosca, questa è una questione di sopravvivenza. Nei mesi scorsi Kiev ha anche visto l’esercito russo ammassarsi alla sua frontiera, è difficile che un accordo che ha reso molto felice il Cremlino, riesca a farla sentire tutelata. Si sente tradita: la promessa di una soluzione di una crisi con Mosca è stata ancora una volta disattesa. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)