In Tunisia il presidente ha aperto una crisi politica pericolosa

Arianna Poletti

Kais Saied ha sospeso il Parlamento, rimosso il premier Hichem Mechichi, sfilato in Avenue Bourguiba e schierato l'esercito. L'opposizione lo ha accusato di colpo di stato, lui sostiene di agire per "salvare il paese"

Della notte del 25 luglio, si parlerà sui libri di storia delle scuole tunisine. Di come se ne parlerà – se di una misura d’emergenza, di un salvataggio o di un colpo di stato – lo definiranno le prossime ore. Domenica 25 luglio, giorno della festa della Repubblica tunisina, è cominciata con le strade della capitale vuote, bloccate dalle camionette della polizia, silenziose, come accadeva a gennaio 2021 prima delle manifestazioni più tese che hanno portato migliaia di tunisini in piazza contro il governo. Così è successo ieri: in centinaia si sono radunati davanti al Bardo, dove ha sede l’assemblea nazionale, chiedendo la dissoluzione del parlamento e scandendo slogan contro il premier Hichem Mechichi, nominato dal presidente Kais Saied a gennaio a capo di un nuovo governo tecnico apartitico che avrebbe dovuto guidare il paese verso nuove riforme. Ma Hichem Mechichi è sceso a patti coi partiti, così Saied da mesi rifiuta di approvare i ministri nominati dall’ormai ex premier. Domenica, questa paralisi politica durata mesi e che ha compromesso il normale funzionamento delle istituzioni in piena crisi Covid-19 ha subìto una svolta inattesa: le sedi del partito di maggioranza – gli islamisti di Ennahda guidati da Rached Ghannouchi – sono state prese d’assalto da manifestanti in tutto il paese mentre il gruppo Facebook “Mouvement du 25 juillet” (Movimento del 25 luglio), che non è chiaro da chi sia amministrato, ha portato in piazza migliaia di persone guidate, più che da un programma politico chiaro, da un grande senso di frustrazione dovuto alla crisi economica e sociale. Anche sui social il dibatto si è infiammato tra i militanti, e c’è chi già nel pomeriggio interpretava le proteste come una resa dei conti tra i sostenitori di Kais Saied e quelli del partito islamista. 

 

E infatti, la sera, l’annuncio del presidente. Solenne, nel suo solito arabo classico, ha detto che il Parlamento non lavorerà per 30 giorni e il governo di Hichem Mechichi si deve dimettere. Una decisione che, sostiene Saied, avrebbe dovuto prendere da mesi. Per gelare le attività del Parlamento, il professore arrivato alla presidenza nell’ottobre del 2019 invoca l’articolo 80 della Costituzione del 2014. L’art. 80 concede al presidente di “prendere misure eccezionali” in caso di “pericolo imminente che minaccia le istituzioni della nazione e il funzionamento regolare dei poteri pubblici”, ma solo dopo aver consultato il capo del governo, il presidente dell'Assemblea dei rappresentanti del popolo e aver informato il presidente della Corte costituzionale. Se il capo di governo, Hichem Mechichi, e il presidente del Parlamento, Rached Ghannouchi, non sono stati consultati, il presidente della Corte Costituzionale non esiste: la democrazia tunisina attende ancora l’organo a cui spetterebbe pronunciarsi in queste ore così delicate, mai nominato dal 2014 ad oggi. Secondo la costituzionalista Sana Ben Achour, però, non ci sono dubbi: Kais Saied ha “oltrepassato le sue prerogative”. Da qui le accuse di “colpo di stato contro la democrazia tunisina e la sua costituzione” mosse dal partito di maggioranza in un comunicato pubblicato durante la notte. 

 

Mentre gli esperti dibattono su una possibile deriva autoritaria, la popolazione tunisina ieri sera si è riversata in piazza violando il coprifuoco e accogliendo positivamente l’annuncio di Saied, che continua a godere di una certa popolarità in assenza di alternative politiche in questo momento di crisi. “Rivoterei Saied”, si legge sul profilo Facebook di chi crede ancora delle buone intenzioni del presidente. A Tunisi, gli slogan contro il governo hanno continuato a risuonare nella capitale mentre c’è chi intonava l’inno sfilando in Avenue Bourguiba, dove anche i militari si sono presi gli applausi dei presenti. Proprio sul viale simbolo della rivoluzione si è recato Saied all’una e mezza di notte, accolto da un bagno di folla, per raggiungere il ministero dell’Interno. “Non si tratta di un colpo di stato”, ha dichiarato ai media presenti ricordando che “chi userà le armi avrà a che fare con le armi” e sostenendo di “voler salvare il paese” da una situazione di stallo. Per poi concludere: “Attraversiamo dei momenti molto delicati per la storia della Tunisia”. Kais Saied prenderà ora in mano l’esecutivo e governerà via decreto, affiancato da un primo ministro dal ruolo minore e da lui nominato (un po’ come accadeva all’epoca dell’ ancien régime). La mattina di lunedì la Tunisia si risveglia divisa tra chi crede nelle buone intenzioni del presidente e chi teme una deriva autoritaria. Mentre la sede di Al Jazeera veniva presa d’assalto dalle forze di polizia e i giornalisti costretti a uscire dalla redazione, Rached Ghannouchi si è comunque recato in parlamento, ed è stato bloccato dall’esercito all’entrata. Ghannouchi, fermo in macchina poco lontano, ha annunciato che l’assemblea continuerà a lavorare “a distanza”. Il braccio di ferro continua. 

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