Il piano di Israele per tornare in classe

No vax, pagatevi i tamponi da soli, dice Bennett, che guarda all'anno scolastico come a una scommessa importante. L'esecutivo precedente l'aveva persa

Micol Flammini

La scuola non può essere sicura se non lo è il paese e il governo pensa a una strategia (poco rigida) per riaprire gli istituti, basato su due pilastri: tracciamento e mini quarantena

La lotta al coronavirus del primo ministro israeliano, Naftali Bennett,  segue un principio semplice: “Non danneggiare l’economia, non danneggiare l’istruzione e non avere un impatto negativo sulla vita quotidiana dei cittadini”. Vale a dire: fermarsi il meno possibile, a cominciare dalla scuola. E’ una scommessa importante e prima che gli istituti riaprano  – le scuole ultraortodosse iniziano dall’8 agosto, tutte le altre il primo settembre – i ministri stanno provando a definire un piano, che di volta in volta, diventa meno ambizioso, soprattutto perché  ostaggio dei litigi tra il ministro dell’Istruzione, Yifat Shasha-Biton, del partito Nuova speranza, e il ministro della Sanità Nitzan Horowitz, di Meretz. Shasha-Biton spinge per una riapertura a qualsiasi costo, Horowitz invece chiama alla prudenza. I due condividevano alcune precauzioni come la possibilità di creare classi con meno studenti, per  rendere più controllabile il tracciamento. Ma per il momento questo progetto è da accantonare e la strada che il governo sembra determinato a percorrere si basa su due pilastri: tracciamento e quarantene da quarantotto ore. Il piano  non tiene in considerazione le zone rosse e arancioni, dove saranno le autorità locali a decidere come agire. 

 

Tra agosto e settembre ci sarà una campagna preventiva di test sierologici da effettuare su tutto il territorio per testare tutti gli studenti e il personale scolastico. L’obiettivo è vedere chi ha gli anticorpi e cercare di identificare  i soggetti da tenere sotto controllo con più attenzione. Ma la vera svolta ci sarà sulla quarantena, i due ministeri hanno deciso di dare inizio a un programma pilota: lo studente, dopo il contatto con un positivo e un tampone negativo, dovrà rimanere in isolamento per due giorni. Potrebbero essere imposti dei distinguo tra ragazzi con più di 12 anni vaccinati e non vaccinati. 


Shasha-Biton ha detto che “gli studenti hanno pagato un prezzo alto nell’ultimo anno e mezzo (...) e abbiamo il dovere morale ed educativo di creare certezza e stabilità per la loro resilienza personale ed emotiva”. Altri ministri l’hanno accusata di tenere una condotta populista e poco seria, ma più che inseguire un piano, Shasha-Biton insegue l’idea di sacrificare altre attività, ma non la scuola. Un paradigma diverso rispetto a quello seguito finora in Israele. Per il governo quella sulla scuola è una scommessa importante, che il precedente esecutivo aveva perso, pur avendo messo a punto un piano di rientro molto più severo, che non servì a molto: dopo due settimane gli istituti vennero chiusi. Bennett è anche più vicino politicamente a Shasha-Biton, vengono da due partiti di destra nati dal Likud di Benjamin Netanyahu, ed è pronto a sposare la linea del suo ministro dell’Istruzione. La scuola   potrà tornare alla normalità soltanto con un alto numero di vaccinati e nelle settimane che restano fino alla riapertura completa delle aule, il premier ha deciso di inasprire alcune restrizioni.

 

Il governo ha condotto una campagna per vaccinare il maggior numero di ragazzi con più di dodici anni e potrebbe richiedere a chi non è vaccinato di presentare un test negativo prima di entrare a scuola. Mettere in sicurezza soltanto la scuola se il resto del paese non è sicuro è un’utopia, per questo il premier ha deciso di condurre una campagna severa contro  chi non si vaccina e presto, ha detto, anche i tamponi diventeranno a pagamento: “Non c’è motivo per cui  coloro che adempiono al loro dovere civico di vaccinarsi finanzino i test per coloro che si rifiutano”. Dovrà specificare se sarà valido anche per i ragazzi in età scolare. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)