Il fattore Merkel stravolge i piani dei candidati alla cancelleria

Micol Flammini

Laschet, Baerbock o Scholz? Nessuno dei tre convince. Per vincere serve una sintesi tra continuità e futuro

Tra i candidati alla cancelleria per le elezioni di settembre in Germania non c’è nessuno che convinca e catturi l’attenzione, il gusto, la fiducia dei tedeschi. Nessuno che prevalga. I sondaggi sui leader (non sui partiti) sono spietati. Secondo uno degli ultimi: il 15 per cento dei tedeschi  sceglierebbe Armin Laschet (Cdu), il 21 Olaf Scholz (Spd), il 14 per cento Annalena Baerbock (Verdi), ma soprattutto al 38 per cento degli elettori intervistati non piace nessuno dei tre. Il risultato è terribile soprattutto per Laschet e per la Baerbock che nelle ultime settimane si sono ritrovati a dover ripensare alla loro strategia, all’interno di una campagna elettorale che stenta a decollare e viene vissuta come un lungo commiato alla cancelliera Angela Merkel. Il voto si terrà il 26 settembre e la situazione sembra sempre più confusa, nonostante, fino a qualche mese fa, sembrasse chiaro che il tempo della campagna elettorale lo avrebbero battuto i Verdi, con i loro temi, ma anche con l’energia dei loro leader, Annalena Baerbock, scelta per la cancelleria, e Robert Habeck, che guida il partito assieme a lei. E così è stato, ma la verdizzazione, soprattutto nei modi, della politica tedesca è durata poco. Nei temi, invece, l’ambiente rimane al centro di questa campagna elettorale, soprattutto dopo le alluvioni del mese scorso. Baerbock non è stata in grado di tenere alto l’entusiasmo, neppure dei suoi elettori, scandali e lamentele – anche l’uso della proibitissima N-word – l’hanno lentamente messa da parte e ora che perde punti lei e perde punti il suo partito, è tornato Habeck a parlare ai comizi. Aveva fatto un passo indietro, i due leader avevano deciso tra loro chi dovesse correre e la decisione di far andare avanti Baerbock sembrava giusta: subito dopo l’annuncio della candidatura i Verdi avevano sfiorato le vette del 30 per cento e superato addirittura la Cdu di Angela Merkel. L’onda verde si è ritirata e ora, secondo i sondaggi, sono il secondo partito, con il 19 per cento.

 

La Cdu è al primo posto, ma Armin Laschet è sempre più in difficoltà. Influisce la sua risata alle spalle del presidente Frank-Walter Steinmeier durante un evento per commemorare le vittime dell’alluvione. Laschet, mentre il preside teneva il suo discorso, era intento a ridere e a scherzare. E se era stato il primo a raggiungere i luoghi devastati – anche perché il Land che governa, il Nord Reno-Vestfalia, è stato uno tra i più colpiti – l’impegno dei primi giorni è svanito in poco tempo e a nulla sono servite le conferenze stampa al fianco della cancelliera. Tra i candidati Laschet è quello che perde di più, forse anche perché è lui l’erede designato della Merkel, e i paragoni sorgono più rapidamente. 

 

 

Olaf Scholz fra i tre è il più apprezzato e soprattutto è l’unico in ascesa. E’ premiato anche dalla sua posizione, è vicecancelliere e ministro delle Finanze del governo uscente e si deve a lui la buona strategia economica per aiutare i cittadini durante la pandemia. Se Cdu e Verdi stanno cercando di portare avanti una campagna elettorale occultando i candidati alla cancelleria e puntando sul partito e i suoi esponenti, Merkel e Habeck, l’Spd fa tutto il contrario: si nasconde dietro a Scholz, anche nel motto della campagna elettorale: Scholz packt das an, Scholz lo affronterà, che poi a farne un acronimo diventa Spd. Il ministro è leader dei socialdemocratici da oltre tre anni, è molto stimato, ma ha un problema: il suo partito. L’Spd è ormai percepito come obsoleto, parte degli elettori lo ha sostituito con i Verdi. Secondo il sito di notizie europee Politico, c’è anche molta diffidenza per le campagne incentrate su un  candidato più che sul partito, per questo la scommessa dei socialdemocratici è molto rischiosa. 

Non tutti i tedeschi  sono nostalgici, molti vivono questo voto come un’opportunità di cambiamento, altri di miglioramento o  superamento. Che la cancelliera sarebbe stata   ingombrante nella prima elezione senza di lei in sedici anni, era da aspettarselo. Forse l’errore dei tre candidati finora è stato proprio quello di porsi o in continuità o di presentarsi come rottura dall’èra merkeliana. La chiave per la vittoria potrebbe invece essere una sintesi: eredità e futuro insieme. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)