il foglio del weekend
Il drago del Reno
Sarà Super Mario il successore della cancelliera Merkel in Europa? Berlino ha dei dubbi, ma dopo il Recovery plan tutto può cambiare
Il 26 settembre finisce il mandato di Angela Merkel, anche se dopo le legislative la cancelliera resterà ancora qualche mese in carica fino all’insediamento di una nuova coalizione di governo in Germania. Fra meno di un anno, nell’aprile 2022, si terranno le presidenziali in Francia e Emmanuel Macron, già penalizzato alle recenti amministrative, non è detto che sarà confermato. In Gran Bretagna, la Brexit ha sancito il congedo definitivo dell’Isola dal Continente e dall’Ue.
Nulla di più logico, quindi, in una situazione fluida e incerta in Europa, che Mario Draghi – asset di lusso italiano riconosciuto in tutto il mondo, iniziato negli otto anni alla guida della Bce a tutti i segreti e le insidie dell’Unione europea, nonché possessore di una rubrica telefonica planetaria – venga visto come il naturale candidato a occupare il posto lasciato vacante dalla donna che in 16 anni al potere ha cambiato la Germania e pilotato l’Europa, e che la rivista Forbes ha eletto per 14 volte donna più potente del mondo.
Sull’ipotesi di una staffetta Merkel-Draghi si ragiona da tempo in Italia, sin dal suo arrivo al governo sei mesi fa, con un misto di speranza e entusiasmo. Più prudenti, invece, in Germania, anche se il suo ingresso sulla scena politica nazionale è seguito dall’inizio con grande attenzione da osservatori e media e, dal binocolo tedesco, con contabile acribia dei pro e dei contro.
Il principale ostacolo a una ipotetica successione di Draghi alla Merkel in Europa è l’Italia: la credibilità del sistema, il ritardo nelle riforme e la pecca di Paese fortemente indebitato (i peggiori in Europa dopo la Grecia con un rapporto debito-pil salito con la pandemia al 160 per cento) fanno da zavorra. D’altra parte i tedeschi sono consapevoli – e la prova è la zoppicante campagna elettorale con candidati cancellieri poco convincenti e sondaggi che ne riflettono l’inadeguatezza – che il dopo Merkel non sarà una passeggiata e lascerà un vuoto che difficilmente, almeno nell’immediato, il futuro cancelliere (o cancelliera) potrà colmare, e che potrebbe essere occupato da altri, Draghi in primis.
Il politologo Albrecht von Lucke, direttore editoriale del mensile Blätter für deutsche und internationale Politik (fogli di politica tedesca e internazionale) dice: “Innanzitutto bisogna capire quale è il posto della Merkel in Europa”. “La forza motrice è stata Macron, lei è stata al rimorchio e per molti versi una delusione”. La Germania è scettica sull’idea del Recovery Plan di fare investimenti con massicci debiti: “Indipendentemente da Draghi, il timore è che l’Italia non faccia le riforme e il denaro finisca in rivoli o nelle mani della mafia e la criminalità organizzata. E’ una enorme ipoteca usata come munizione dalla destra populista in Europa”.
A differenza di Wolfgang Schäuble, l’ex ministro delle Finanze guardiano dell’austerity, “Merkel ha sempre avuto un buon rapporto con Draghi: anche se non l’ha mai ammesso, erano sulla stessa linea sulla politica fiscale e anche sulla Brexit, ma il motore era Macron”. Certo, uscendo di scena “il suo posto resta vacante, soprattutto in politica estera: “era per così dire la vicaria di Obama con Trump”. Ma a pesare su Draghi è l’immagine dell’Italia.
Per Christoph Schwennicke, noto giornalista politico, ex direttore della rivista Cicero, l’idea di una staffetta è invece plausibile: “Di fatto Draghi ha già governato l’Europa: con il salvataggio dell’euro è stata la figura decisiva in Europa, ha guidato il destino europeo in quella fase”. La Germania avrà sempre un ruolo importante “ma il prossimo cancelliere avrà bisogno di tempo, dovrà conquistarsi da solo il rispetto in Europa. Draghi non è solo un tecnico, ha istinto politico, talento, per questo non è peregrino considerare un suo ruolo centrale nella nuova costellazione europea”. Alquanto tiepido il suo giudizio sulla cancelliera: “E’ sopravvalutata, non penso abbia dei meriti in Europa”.
In Germania, quando era al vertice della Banca centrale europea, Draghi era divisivo. Nessuno ha mai messo in dubbio le sue competenze e il profilo professionale e morale. Ma la sua politica monetaria espansiva, i tassi congelati, quel “what ever it takes” con cui ha salvato l’euro, il Quantitative Easing (QE), l’acquisto di titoli di Stato dei paesi in difficoltà – che dopo vari ricorsi è arrivato fino alla Corte Costituzionale di Karlsruhe – erano visti dalla maggioranza dei tedeschi come il fumo agli occhi perché vi vedevano solo gli effetti negativi (zero interessi per i risparmiatori) e non quelli positivi (export alle stelle col cambio basso). Draghi bestia nera dei risparmiatori, Draghi oddio, il refrain al suo arrivo all’Eurotower a novembre 2011. La Bild, sismografo delle viscere e del paese, lo salutò con un bel “Mamma mia: per gli italiani l’inflazione sta alla vita come il sugo alla pasta”! E poi le continue schermaglie con il presidente della Bundesbank, membro del board della Bce, Jens Weidmann, custode dell’ortodossia monetaria, sostenuto dalla maggior parte degli economisti e opinionisti tedeschi.
“E’ vero, Draghi sta per un’altra politica monetaria, dei bassi tassi, rispetto a quella tedesca ed è sempre stato visto al riguardo come un avversario”, osserva Schwennicke. “Ma è anche vero che la Germania vi si è adeguata volentieri e nessuno oggi, a cominciare dalla Fed americana, si azzarda a cambiarla sebbene l’inflazione aumenti, perché tutti sanno che se si alzassero i tassi molti paesi fallirebbero, Italia per prima”.
Le riserve tedesche sono riecheggiate anche con il programma di aiuti agli stati membri dopo la pandemia, con il quale per far fronte all’emergenza per la prima volta l’Europa accetta il principio del debito comune: altra bestia nera della Germania.
“Sul Recovery Plan Merkel non voleva essere l’avanguardia, ha ceduto e accettato di fare debiti per l’Italia perché aveva paura che l’Europa crollasse”, sostiene Lucke. Nel negoziato “era dalla parte dei paesi frugali, dell’Olanda e del premier Mark Rutte. Ha cambiato idea e fatto da ponte fra Nord e Sud per paura che l’Ue si disgregasse, alla fine ha accettato il Recovery Plan deludendo l’Olanda”.
Come sempre quando si tratta di denaro, i tedeschi affinano le antenne e si sentono coartati nel ruolo di benefattori loro malgrado. La storia e la psicologia aiutano a capirne le ragioni, ma non c’è dubbio che questo atteggiamento è profondamente radicato nella popolazione e condiziona fortemente anche le scelte della politica. Per un paese che, dopo il trauma della guerra e del nazismo, ha fatto della stabilità la propria bandiera, l’Italia incarna il pericolo da scongiurare. Dalla fondazione della Repubblica Federale nel 1949, in Germania – dove la Costituzione, forte della lezione di Weimar, impedisce crisi al buio e prevede per questo lo strumento della “sfiducia costruttiva” in Parlamento (in assenza di una coalizione alternativa, un governo non può cadere) – si sono succeduti finora otto cancellieri e ventiquattro governi. In Italia, quello di Draghi è il sessantasettesimo governo. Stabilità, austerità, legalità è la triade, parecchio luterana, stampata nel Dna tedesco dal Dopoguerra a oggi, che nel bene e nel male funge da bussola per la classe politica e da metro di consenso, o sanzione, dell’operato del governo nell’opinione pubblica. Tutte virtù che agli occhi dei tedeschi l’Italia non possiede. Da qui le riserve sulla politica espansiva di Draghi alla Bce e, ora, lo scetticismo sul Next generation Eu (NGEU) e Recovery Plan, il piano di rilancio dopo la pandemia di cui l’Italia, paese maggiormente colpito dal Covid, è il principale beneficiario con 209 miliardi delle risorse, oltre il 27 per cento del totale (circa 26 miliardi alla Germania). Alla base c’è un deficit di fiducia nelle capacità di gestione dei soldi, nutrito dal pregiudizio che vuole il Nord Europa austero e frugale e il Sud spendaccione e inaffidabile, pregiudizio avallato da conferme nei fatti. Per i tedeschi è un po’ come un noto proverbio: “Den Bock zum Gärtner machen” (mettere un caprone a fare il giardiniere o, liberamente, un lupo a pastore del gregge).
Piaccia o meno, “sulla necessità di finanziare gli aiuti c’è consenso perché un fallimento dell’Italia, terza economia dell’Unione, sarebbe un problema per tutti, argomento questo che ha convinto la Merkel e ampie parti del suo partito a cedere”, sottolinea Lucke.
Sulla stampa, sia conservatrice come Die Welt sia liberal come la Süddeutsche Zeitung, il ritornello è più o meno lo stesso: la politica espansiva incentiva i paesi fortemente indebitati come l’Italia a fare ancora più debiti e frena la voglia di riforme e con la pandemia si aggiunge l’aggravante di debiti comuni a piene mani. La mutualizzazione del debito in Europa è lo spettro che terrorizza i tedeschi, paventato soprattutto nello schieramento conservatore formato da Cdu-Csu – il partito cristiano democratico della Merkel e del suo erede al vertice Cdu e possibile futuro cancelliere, Armin Laschet – dai liberali della Fdp e dall’estrema destra AfD. Accettato il Recovery Plan come rimedio estremo per combattere le conseguenze economico sanitare dalla crisi pandemica, il timore è ora che diventi un sistema permanente di trasferimento di soldi. Per questo fra i politici conservatori si sollecita un ritorno ai vincoli del Patto di stabilità una volta superata l’emergenza del Covid.
“L’avvio di una mutualizzazione del debito di fatto è stato già deciso, si dice che è un’eccezione ma sappiamo bene che potrebbe essere solo il primo passo verso un principio permanente”, sostiene Schwennicke.
Un chiaro monito contro ricadute al lassismo nei bilanci è arrivato dal presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble (Cdu), campione dell’austerità sin da quando era alle finanze, in un recente editoriale sul Financial Times. In caso di mancato rispetto delle regole, si dovrà ricorrere a un nuovo meccanismo per indurre gli stati che le violino ad attenervisi, ha detto aggiungendo un po’ pelosamente di essere però sicuro che Draghi le rispetterà.
I socialdemocratici della Spd e i Verdi, in corsa anche loro per la cancelleria con i candidati Olaf Scholz, attuale ministro delle finanze, e Annalena Baerbock, sono di altro avviso: basta col dogma dell’austerità, accento invece sugli investimenti. La possibilità però di dare vita dopo il voto il 26 settembre a una coalizione di governo senza la Cdu-Csu è tutta da vedere. Al momento Laschet, che ha infilato a sua volta una serie di errori, è penalizzato nei sondaggi (addirittura ultimo nei consensi nel confronto personale con gli altri due candidati: terzo dopo Scholz e la Baerbock) ma l’Unione Cdu-Csu resta il primo partito nelle intenzioni di voto dei tedeschi e alle urne contano i voti dei partiti, non i nomi.
Per Lucke ”il nuovo governo tedesco non sarà forte”. Sia che il cancelliere sarà Laschet. Sia, ancor più, se sarà Scholz (risalito nei sondaggi) o la Baerbock (crollata per una serie di errori: curriculum abbellito, sospetto di plagio e sciatterie varie). “Sarebbero costretti a formare una coalizione semaforo (verde-rosso-giallo) con i liberali (Fdp) e sarebbe un governo ancora più debole perché condizionato dagli estremisti di destra (AfD) e di sinistra (Linke)”.
“Se Laschet diventa cancelliere il binomio Schäuble-Merkel diventerà Laschet-Merz” (Friedrich Merz, esperto di finanza, candidato alla cancelleria battuto per un soffio da Laschet, e molto forte nell’ala conservatrice Cdu), sia che Merz diventi ministro delle finanze o capogruppo al Bundestag (nel caso alle finanze ci vada il Verde Robert Habeck). Prevedibile uno scontro nel governo sulla ‘Schuldenunion’ (Unione del debito): “Il partito dei nemici dell’inflazione sarà più forte, ciò renderà le cose più difficili per Draghi”.
Altro tema sarà la sostenibilità: con i Verdi in una futura coalizione di governo l’accento sarà su una politica preventiva, interventista dello Stato su clima, ambiente, salute. Se sarà invece la Cdu-Csu a guidare il prossimo governo, “l’accento sulla sostenibilità sarà in senso neoliberale o neoconservatore: economia, Stato snello, e allora non vedo quale possa essere un ponte con l’Italia”. La disponibilità della Germania aumenterà con una politica ecologica sostenibile, di buoni investimenti e riforme su giustizia, fisco, digitale, competizione, innovazione, burocrazia. “Altrimenti”, dice Lucke, “si rafforzerà la fazione dei falchi contrari a fare debito” e le forze centrifughe in Europa aumenteranno la pressione.
“Molto dipenderà da Draghi, se saprà gestire le risorse in arrivo dall’Europa: in un certo senso sarebbe auspicabile che assumesse un ruolo importante in Europa, ma è cruciale se riuscirà a mettere l’Italia sulla strada giusta”. In caso contrario, se la gestione dei fondi del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, dovesse fallire, l’idea di un Draghi “dominus” in Europa rischierebbe di rimanere un pio desiderio.