Clima ed energia

Quel giacimento scozzese che fa venire il mal di testa

Paola Peduzzi

Cambo è al largo delle isole Shetland e aspetta un ok del governo per procedere con l'estrazione del petrolio. Ma a ottobre a Glasgow c'è la Cop26 e molti chiedono coerenza: se siete veri ambientalisti, voi conservatori, non date il via libera

Cambo è un giacimento petrolifero a 125 chilometri dalla costa ovest delle isole Shetland, in Scozia, e contiene, secondo le stime, 800 milioni di barili di petrolio. Nel 2011 il governo britannico diede la licenza per l’esplorazione e ora l’Autorità del petrolio e del gas deve decidere se dare il via all’estrazione che potrebbe cominciare nel 2022 e durare per venticinque anni: per procedere, dice l’Autorità, c’è bisogno dell’accordo del governo e in particolare degli esperti che ne valutano l’impatto ambientale. Ed è qui che cominciano i problemi, non soltanto politici, ma anche simbolici: a cavallo tra ottobre e novembre in Scozia, a Glasgow, si terrà la ventiseiesima Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, la Cop26, presieduta dal Regno Unito in partnership con l’Italia. Cioè a pochi chilometri dal giacimento di Cambo si dovranno accordare i paesi dell’Onu sulle emissioni zero: un bel guaio.

 

Un paio di settimane fa, in visita in un campo eolico scozzese, il leader del Labour Keir Starmer ha detto: “L’idea di organizzare una conferenza planetaria qui mentre si approva lo sfruttamento di Cambo non ha alcun senso: dà un segnale completamente sbagliato”. I Friends of Earth della Scozia sostengono che soltanto la prima fase di sviluppo necessaria per l’estrazione del petrolio produrrà un inquinamento pari a diciotto centrali alimentate a carbone. I Green scozzesi dicono che la decisione di andare avanti con Cambo sarebbe “catastrofica” e completamente disallineata rispetto agli obiettivi ambientali del governo e della Cop26. L’inviato per il Clima dell’America, John Kerry, ha detto che è una scelta da prendere “in modo molto molto cauto”, infilandosi in quel terreno angusto delle cosiddette “ingerenze straniere” che già aveva portato sfortuna ai tempi della Brexit.

Il governo conservatore di Boris Johnson per il momento propende per la via tecnica: ha approvato un nuovo insieme di linee guida (si chiamano “checkpoint”) che si applicano alle centrali e ai giacimenti, ma soltanto a quelli nuovi, e Cambo, avendo la licenza da inizio secolo, non è considerato nuovo. “Non possiamo intervenire”, hanno detto più fonti del governo. Ma la giustificazione tecnica non salverà i Tory e il governo dalle polemiche, non certo su un tema come quello ambientale che si presta alla perfezione alla polarizzazione politica: catastrofisti di qui, negazionisti di là, e una terra di mezzo che non ha ancora trovato piani promettenti e rivendibili con un pizzico di rassicurazione. Secondo una rilevazione del ministero dell’Industria, soltanto l’1 per cento dei britannici non crede al cambiamento climatico. Sulla responsabilità dell’uomo nel surriscaldamento il paese è diviso a metà (il 51 per cento crede che sia l’attività umana a determinare del tutto o molto il cambiamento climatico), ma l’80 per cento è a favore dell’energia rinnovabile e nove inglesi su dieci sanno di dover cambiare il proprio comportamento per contenere gli effetti più pericolosi del cambiamento climatico. Quindi si può dire che il Regno Unito sia a favore in modo compatto della decarbonizzazione, ma resta comunque preoccupato o scettico o allarmato su come questa transizione verrà gestita. Che è proprio il quesito su cui tutti i leader che hanno un’opinione pubblica molto sensibilizzata sul tema si stanno tormentando.

 

Poiché gli inglesi amano le classificazioni, ci sono già tre profili elettorali definiti: gli “hard green”, che vivono nelle città, sono più istruiti e tendono a parlare della decarbonizzazione e della deindustrializzazione come se fossero sinonimi. Ci sono i “no green” che sono di meno e sono contrari a ogni transizione perché la considerano soltanto come un costo e come un impoverimento. E ci sono i “soft green” che sono quelli sensibili alla questione ambientale, a favore della riduzione a zero delle emissioni ma che sono anche molto attenti al costo della vita e al suo possibile aumento. E’ a questi “soft green” che è necessario parlare, con formule che non siano catastrofiste (in senso ambientale ma anche economico).

Il giacimento di Cambo mostra come sia difficile trovare le parole. Alok Sharma, il sottosegretario che presiederà i negoziati della Cop26, ha detto in un’intervista all’Observer che non sa trovare altri termini per definire gli effetti dell’attendismo internazionale sul clima se non “catastrofici”. Ma quando gli è stato chiesto se allora vuole bloccare Cambo come chiede l’opposizione ha trovato il modo per non rispondere, e prendere tempo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi