La visita di Lapid in Marocco è storica
I rapporti tra arabi e israeliani ormai si basano su nuovi codici e su un linguaggio tutto diverso, fatto di scambi finanziari e culturali, frutto della stagione degli Accordi di Abramo, inaugurata un anno fa
Yair Lapid, ministro degli Esteri israeliano, è tornato da una visita di due giorni in Marocco, uno di quei viaggi storici che, nell’ultimo anno, stanno portando Israele a stringere relazioni diplomatiche con paesi arabi con i quali, fino a poco tempo fa, sarebbe stato impensabile averne. Lapid non perde occasione per viaggiare, stringere mani, unire quello che fino a poco tempo fa sembrava inconciliabile. Mercoledì è partito per Rabat, diventando così il primo ministro degli Esteri a visitare il Marocco dal 1999. Con il suo omologo marocchino ha firmato diversi accordi sulla base di quello già stipulato lo scorso dicembre per ristabilire le relazioni diplomatiche tra i due paesi e ieri ha inaugurato la missione diplomatica israeliana a Rabat. Questo è soltanto un tassello piccolo di tutto ciò che sta avvenendo tra i due paesi: un nuovo modo di relazionarsi fatto di sicurezza, economia e viaggi. Fra Israele e Marocco i voli sono in continuo aumento e dovrebbero diventare quotidiani nel giro di qualche mese. Un’unità antiterrorismo marocchina è andata a Gerusalemme per partecipare a un’esercitazione internazionale, anche le agenzie di difesa informatica stanno collaborando e si stanno scambiando dati e alcuni analisti riferiscono di accordi strettissimi per trasformare gli uffici di collegamento diplomatico in vere ambasciate.
Un anno fa iniziava la stagione degli Accordi di Abramo, la normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, seguiti da Bahrein, e poi allargata, ma non ancora ultimata, a Sudan e Marocco. L’èra aperta dall’Amministrazione Trump il 13 agosto scorso, ma che i democratici con Joe Biden hanno deciso di non interrompere, si arricchisce e in un anno ha contribuito a ridisegnare il codice dei rapporti in medio oriente e a instillare l’idea che l’effetto domino che c’è stato dopo l’adesione degli Emirati probabilmente andrà avanti e sarà un bene. Non è più la stagione dei boicottaggi, gli Accordi Abramo hanno ribaltato la conversazione. C’è sì della convenienza nella ripresa di queste relazioni, come hanno sottolineato i più scettici, ma i rapporti economici, culturali, di sicurezza sono al momento la maggior sicurezza di pace nell’area. Nessuno rinuncia alla propria causa – il re marocchino Muhammad VI, accogliendo Lapid ha chiesto che vengano ripresi i negoziati con i palestinesi, ha ricevuto un invito da parte del nuovo presidente israeliano Isaac Herzog e probabilmente non perderà l’occasione per parlarne – ma è cambiato il lessico, è cambiato il codice con cui le battaglie di ciascuno vengono portate avanti. Tutti i rapporti, infatti hanno retto, nonostante la prima grande sfida che si è presentata a maggio con il rinnovo del conflitto tra Hamas e Israele.
La normalizzazione dei rapporti tra Gerusalemme e Rabat era stata annunciata da Donald Trump a dicembre dello scorso anno, Washington aveva ribaltato anni di tensioni con il riconoscimento della sovranità marocchina nel Sahara occidentale e l’Amministrazione Biden non ha fatto passi indietro, nonostante l’ala più radicale del suo partito non fosse d’accordo. In un contesto in cui gli scambi si fanno sempre più intensi, in cui i viaggi, i rapporti finanziari e culturali sono alla base di un nuovo modo di parlarsi, è ormai chiaro che gli Accordi di Abramo e tutto quello che è venuto dopo siano il ribaltamento di un tabù: non sono stati firmati turandosi il naso, ma con la volontà di ridisegnare il medio oriente. “Questa pace e questa amicizia vengono ripristinate da chi ripensa e ridefinisce le controversie storiche”, ha detto Lapid a Rabat. All’appello manca l’Arabia Saudita, ma i giornali israeliani lasciano intendere che le trattative sono in corso, ci vorrà soltanto più tempo.
Dalle piazze ai palazzi