Chi riempirà il vuoto afghano
Se l’Europa guarda ciò che accade in Afghanistan con terrore (per i migranti) e senza alcuna proposta, russi e cinesi stanno sulla porta e fanno i loro calcoli
Joe Biden dice che la leadership afghana deve “stare unita” e combattere “per la propria nazione”, molti gli rispondono: eh, ma non ce la fa, i talebani sono più forti, e il presidente americano ribadisce: questa è la loro battaglia, non più la nostra. “Not my problem”, sintetizza Politico in un titolo feroce che inquadra il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan come una delle mosse meno lungimiranti e più ciniche dell’Amministrazione Biden.
Nella loro rincorsa violenta e forsennata, i talebani venerdì sono entrati a Lashkar Gah, giovedì avevano già preso Herat, entrando nel quartier generale della polizia, l’area in cui hanno operato per molti anni i soldati italiani, addestrando le forze locali. E anche Kandahar è stata occupata dai talebani – Kandahar, la città del sud vicino al confine con il Pakistan, la città del mullah Omar, la capitale dei talebani infine riconquistata. La diplomazia americana lavora a Doha assieme a europei, russi e cinesi al negoziato con i talebani: se riconquistate il paese con questa brutalità, resterete esclusi dalla comunità internazionale, ripete Washington.
I talebani rispondono: non è nel nostro interesse seguire le vostre indicazioni, ma anche se fanno i gradassi perché pensano di aver guadagnato, grazie al vuoto americano, un maggior potere contrattuale, i negoziatori a Doha sono sempre più distanti dai talebani che riconquistano il territorio, cioè ne hanno pochissimo controllo. La loro credibilità è bassa presso i combattenti (che sono a loro volta divisi, ma ora che sono in guerra queste distinzioni non si vedono: le scopriremo dopo) ma anche altrove: un accordo con i talebani non vale molto, nessuno si fida. Gli altri paesi che non sono l’America guardano e fanno i loro calcoli: aspettano di capire che forma prenderà il vuoto americano e come potranno accomodarsi al meglio. Interessi convergenti non se ne vedono. La letteratura sulla teoria del vuoto nella politica internazionale è univoca: si formano nuove sfere di influenza, stabilità vuol dire violenza, la crisi umanitaria è inevitabile, gli autocrati si rafforzano.
Se l’Europa guarda i fatti afghani con terrore (per i migranti) e senza alcuna proposta, la Russia critica il ritiro americano “troppo affrettato” ma teme la pressione dei rifugiati e soprattutto il rafforzamento di un rifugio islamista che costituisce una minaccia per tutta l’Asia centrale. Zamir Kabulov, l’inviato per l’Afghanistan di Vladimir Putin ha detto in modo piuttosto esplicito che i talebani sono il male minore, anzi sono quasi una garanzia di sicurezza perché limitano l’ascesa di altri gruppi terroristici.
“I talebani che stanno conquistando le città sono nemici giurati degli altri islamisti e al contrario del governo afghano, per non parlare degli anglosassoni, i talebani combattono per distruggerli”, ha detto Kabulov a Interfax. Pechino ha accolto dei “diplomatici” talebani e ha scattato photo opportunity che hanno fatto il giro del mondo: ecco la Cina che sostituisce l’America. Ma anche a Pechino la minaccia islamista fa spavento non foss’altro perché la regione dello Xinjiang a predominanza musulmana su cui il regime cinese ha esercito una repressione violenta confina proprio con l’Afghanistan. L’instabilità con la variante jihadista terrorizza Pechino, ma lì il mantra oggi è: nessuno può davvero controllare l’Afghanistan, versione modernizzata dell’ormai celebre “tomba degli imperi”.
L’America si aspetta che invece l’Afghanistan sia controllato dal suo governo, dice di averlo messo nelle condizioni di farcela, e pretende di non rispondere al fatto che non è così. Il presidente afghano, Ashraf Ghani, è andato a Mazar-e Sharif tre giorni fa per sostenere i soldati, mentre i talebani sono alle porte, rapidissimi e invincibili. Il capo delle Forze armate afghane se n’è andato e così anche il capo delle Forze speciali. Il ministro delle Finanze si è dimesso e ha lasciato il paese: lui può.